Veronica Balocco è giornalista professionista e redattrice del bisettimanale “Eco di Biella”, per il quale scrive di cronache locali, economia, montagna e di alpinismo.
Nel 2008 ha pubblicato il romanzo-documento “L’alba bianca” (Eventi&Progetti Editore), ispirato alle storie di alcuni dei protagonisti della catastrofica alluvione che nel novembre del 1968 colpì le province di Biella e Asti.
Del suo legame con Biella, che va dalla professione al tempo libero, parla nell’intervista concessa a Comuni-Italiani.it
“Ho deciso: voglio fare la giornalista!” , com’è maturata questa scelta?
Una scelta sostanzialmente casuale. Dopo la maturità classica ero intenzionata ad iscrivermi a Medicina, poi le cose della vita, come sempre accade, mi hanno inaspettatamente portata altrove. In quegli anni nasceva e si stava sviluppando con successo il nuovo corso di laurea in Scienze della Comunicazione: l’ho vista subito come un’opportunità da cogliere al volo.
Sono da sempre innamorata della scrittura e della lingua italiana, per cui ho pensato che un corso specifico potesse aiutarmi a fare di questa mia passione, un giorno, un lavoro. E così in fondo è stato.
Ma non si è trattato di un percorso canonico. Volutamente non ho scelto l’indirizzo in Comunicazione di massa, più vicino al giornalismo, ed ho optato per la Comunicazione multimediale. Fino all’ultimo ho creduto di essere fatta per la creazione di contenuti per il web, e invece, all’improvviso, ho trovato la mia strada: i giornali cartacei.
Che ruolo ha avuto Biella in questo percorso professionale e che possibilità offre in generale a chi si affaccia alla professione?
E’ stata proprio Biella, in un certo senso, a consentirmi di dare il via al mio percorso professionale. Grazie ad una compagna di università, che già collaborava con un giornale locale, mi sono proposta in qualità di corrispondente dal mio piccolo paese dell’alta valle. Avevo sì e no vent’anni.
Mi hanno concesso un paio di pezzi di prova, poi hanno deciso di offrirmi la collaborazione. Ero una penna ancora molto inesperta e bisognosa di consigli, ma pian piano l’esperienza si è fatta più robusta e ho iniziato a cogliere i segreti del mestiere. E ho capito che per un giornalista, Biella e il Biellese rappresentano un’ottima palestra: è una realtà apparentemente chiusa ma ricca di storie nascoste, di sfaccettature e di peculiarità da scoprire. Un buon professionista vi ci potrebbe sguazzare, avendone la possibilità.
Alla fine, dopo cinque anni da “co.co.co” a stretto contatto con tutte queste piccole e grandi vicende di provincia, mi è stata proposta l’assunzione come praticante. Da lì, il passo verso il professionismo è venuto da sé.
Biella e il giornalismo: come si caratterizza l’informazione locale? Ci sono delle specificità rispetto al contesto generale?
Anche Biella presenta la grande peculiarità che fa del Piemonte un unicum nel panorama giornalistico italiano. Qui l’informazione locale è ancora appannaggio dei bisettimanali, ed è proprio in uno di questi che io ho trovato posto: “Eco di Biella”, testata storica che fa capo all’Unione Industriale locale. Viene pubblicata il lunedì e il giovedì, mentre negli altri giorni il pubblico ha a disposizione altre due testate (“Il Biellese”, storico nome legato all’ambiente ecclesiastico, e “La Nuova Provincia”, il giornale più giovane).
Accanto a tutti questi c’è il “concorrente” nazionale: “La Stampa”, che propone anch’essa, quotidianamente, alcune pagine di informazione locale.
Come molti biellesi, lei ama la montagna e gli sport invernali. E Biella e la provincia hanno tanto da offrire in tal senso
Il Biellese, con il suo stupendo ventaglio di alpi Pennine, offre grandiosi panorami e salite tutt’altro che banali. Ma non solo. Pochi lo sanno, ma il territorio nasconde una ricca e gloriosissima storia alpinistica: è patria di personaggi del calibro di Quintino e Vittorio Sella, padre Alberto De Agostini, Mario e Guido Piacenza, e ha dato i natali a uomini di alta montagna come Guido Macchetto e Nito Staich. Insomma: è una terra di grandi montanari, esploratori e scalatori.
Eppure, anche la vicina Valsesia mi dà grandi soddisfazioni. Per questioni affettive e di vicinanza geografica tendo a frequentarla più del Biellese. E col tempo il Monte Rosa è diventato un po’ la mia seconda patria.
Parafrasando il nome del quotidiano per il quale scrive, c’è un articolo su Biella che ha una particolare eco tra i suoi ricordi?
Ricordo più o meno tutto ciò che ho scritto con grande affetto. Da persona che ama profondamente la sua cultura di origine, ho sempre cercato di mettere il cuore nei pezzi che riguardano la mia terra. Se dovessi però scegliere un testo scritto da me sul Biellese, direi che quello che mi appartiene maggiormente non è un articolo pubblicato sul mio giornale. E’ il libro che ho scritto in occasione del quarantennale dell’alluvione che nel 1968 ha distrutto la mia valle e le sue fabbriche: “L’Alba Bianca”.
Vi ho messo dentro tutta me stessa e la mia terra. Molte persone l’hanno letto e apprezzato, e questa è oggi la vera eco che risuona nella mia mente.
Un titolo e dieci righe per raccontare cosa le piace e cosa cambierebbe della Biella attuale.
“Un po’ Bella, un po’ Bestia”
L’antico borgo del Piazzo, la città alta. Questo mai cambierei di Biella. Un angolo di passato ancora immerso nel silenzio e nella storia. Ma sì, forse cambierei qualcosa anche lì: le auto che vi sfrecciano, qualche angolo lasciato un po’ a se stesso. E magari cercherei di coordinare meglio la vita notturna, incentivando con criterio lo sviluppo di nuovi locali e l’utilizzo dell’antica funicolare, con l’intento di creare una suggestiva cornice alle serate giovani che spesso si perdono chissà dove.
Di Biella cambierei il centro. Ormai abbandonato a se stesso, privo di una “testa” che faccia da vero punto di riferimento. Troppi centri commerciali hanno banalizzato un po’ il valore di questa città che un tempo si fregiava di essere tra le più signorili d’Italia. Non li avrei voluti, almeno non così numerosi.
Incentivare il piccolo commercio di quartiere, sposare la causa dei trasporti pubblici, tentare di dare a Biella più opportunità culturali, curare anche i piccoli angoli di periferia: questi sono piccoli segni che mi piacerebbe vedere realizzati. E poi, combattere il degrado che sta crescendo e davanti al quale non ci si può coprire gli occhi.
Dimenticavo. Una cosa da cambiare? La testa di molti biellesi, che ancor oggi restano legati ad un’autoreferenzialità destinata a nutrirsi solo di se stessa. Dovrebbero imparare a guardare un po’ al di fuori e ad accogliere il nuovo come una forma di ricchezza.
Smessi i panni della giornalista, quali immagini di Biella e del Biellese rappresentano meglio la sua quotidianità?
I luoghi della mia quotidianità sono più vicini alla montagna e alla cultura della fatica che alla più distesa atmosfera cittadina. E’ nella mia zona che è nata e si è sviluppata la gloriosa storia tessile biellese, quindi per me è naturale guardare fuori dalla finestra e vedere ciminiere, lanifici e operai che escono dal lavoro.
La mia vita si è sempre svolta qui. E ad arricchirla c’è un profondo amore per la montagna che mi porta a frequentare con assiduità le bellissime cime delle zone limitrofe.
Da esperta di comunicazione multimediale, come vede il futuro della professione giornalistica tra tecnologia digitale e giornalismo partecipativo?
Ho studiato a fondo i giornali online e la comunicazione multimediale e credo si tratti di un’opportunità storica. Se la lungimiranza degli editori lo consentirà, il futuro del giornalismo vedrà realizzarsi la completa integrazione di tutte queste varie forme di comunicazione. Almeno, questo è il mio suggerimento.
Tradizione e innovazione viaggiano sempre di pari passo nei settori che fanno eccellenza, per cui non vedo perché non seguire anche qui l’esempio. Lo snobismo verso le nuove forme di giornalismo partecipativo, non porta da nessuna parte, ma neppure l’esasperata dedizione ad esse.
Il buon giornalista del futuro dovrà saper dosare contenuti e toni, adeguandoli ai vari mezzi e ai vari target. Solo così, a mio avviso, riuscirà a conquistare fette sempre più larghe di mercato e a fare informazione - e perché no: anche cultura - tra gli strati di popolazione che oggi non riesce a raggiungere.
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