14 Aprile 2010

La Solita Zuppa

di Alessio Postiglione (Blog Chiusi. Interviste Ristoranti)

Incontriamo Roberto Pacchieri del Ristorante La Solita Zuppa di Chiusi.

Qual è il rapporto fra la vostra cucina e il territorio?
E’ un rapporto di storicità profonda. Ma anche di riscoperta.
Di storicità, perché noi siamo al limitare della Val di Chiana e della Val d’Orcia, in un contesto di antichissima tradizione, di territorialità distinta che, nonostante si trovi su di un confine, è un confine particolare: un confine che ci ha protetto e che è riuscito a conservare nel grembo le tradizioni. Noi siamo sul confine stabile etrusco e, nonostante noi si sia fatto parte dei domini senesi prima e fiorentini dopo, si è riusciti a conservare – fino ad un certo punto – l’identità gastronomica.
Anzi, la cucina dei medici prendeva in prestito da noi!
Ma il nostro è stato anche un rapporto di riscoperta perché quello che non hanno potuto i secoli di dominazione, ha potuto, in solo cinquant’anni, la società dei consumi, con l’uniformizzazione del gusto. Dopo gli anni Settanta, con la progressiva scomparsa di quei presidi naturali dell’identità gastronomica che c’erano in Toscana, come osteria, trattorie e bar con cucina, questo confine etrusco sembrava definitivamente soccombere sotto i colpi di fast food e paninoteche. Ecco che siamo intervenuti, io e mia moglie, in controtendenza, a ripristinare questa tradizione culinaria in via d’estinzione.
Ventisei anni fa, quando abbiamo ripreso la tradizione, c’erano due cucine: alta e di casa. Quella stessa cucina “alta” era, in realtà una colonizzazione straniera della nostra identità gastronomica. L’alta cucina, affettata ed intellettuale, di origine francese, che spazzava via la nostra tradizione.
Noi abbiamo portato e ripristinato la tradizione casalinga nel ristorante dopo che i fast food, ma anche dopo che questo scimmiottamento dell’alta cucina avevano sostituito le nostre osterie.
E’ stato quasi come se un richiamo profondo mi avesse rapito, come prima era stato per il teatro.

Prima di iniziare con la ristorazione, lei faceva teatro?
Anche. Lavoravo in banca e mi ero già licenziato per fare teatro. Venivo dal teatro degli Anni ’70. I collettivi, i teatri alternativi, i teatri di strada. L’idea di identità è una persecuzione. Potremmo dire che dalla ricerca di radici, tramite il teatro alternativo che indagava la commedia dell’arte, il teatro popolare, la sua capacità di tesaurizzare l’anima profonda delle genti, sono passato ad uno strumento, la cucina, che mi permettesse di ricostruire un altro aspetto dell’identità del popolo: l’identità culinaria. Perché, in fin dei conti, come diceva Feuerbach, “l’uomo è ciò che mangia”.

Doveva essere una faticaccia, per lei, stare in banca.
Sono un ragioniere-umanista. Credo che il valore aggiunto di questo viaggio che ho fatto, fra teatro e cucina, è il fatto che l’ho fatto con mia moglie. Nella cucina ti devi immergere con la compagna vicino, perché è un viaggio infinito. Anzi, all’inizio, credevi che fosse un piccolo golfo ma è un oceano. E in quel momento scopri che viaggio infinito, ecco.

Ma alla ricerca di cosa? Dell’identità?
Il fine è il viaggio, non la meta, non la destinazione. E’ il viaggio in sé che esemplifica la condizione umana, errante, come nell’epica greca, con la figura di Ulisse che, non a caso, solca un mare che, per i mezzi di quell’epoca, era proprio come un oceano.
E poi, ci vuole sempre quello spirito iconoclasta: per mettere tutto in discussione.
Sa, Gaber diceva che non si può distruggere una chiesa grande per farne tante piccole.

Parliamo di cucina. Un assaggio del vostro menu.
Pici – rigorosamente tirati a mano – con ragù d’anatra, all’aglione; gnudini burro e salvia, tagliatelle di farro ai funghi porcini, tagliolini allo zenzero.
Poi, la minestra di pane, una sorta di ribollita fredda, che prepariamo come colazione estiva.
Per proseguire, castagne con lenticchie, cacio con le pere, miele e noci, agnello al buglione, anatre alla prugne, faraona pere e arancia, cinghiale in salmì, maiale alle mele. E per dessert: crema fredda di cioccolato fondente con Barolo chinato, aspic di pere al miele di cannella e crostata di visciole con Aleatico Nanerone.

I suoi vini?
Proponiamo ai nostri clienti un Rosso di Montalcino giovane che non prende legno, in caraffa. Abbiamo una grande carta dei vini, ma crediamo che per rispettare lo spirito dell’osteria noi si debba offrire un vino schietto, sincero e di qualità, ad un prezzo ragionevole.

Il valore aggiunto di Chiusi.
Tanti monumenti della civiltà etrusca, soprattutto le importantissime tombe, una bellissima cattedrale e il Labirinto di Porsenna.

Riferimenti:
Ristorante La Solita Zuppa
Via Porsenna, 21 - Chiusi (SI)
Telefono: 0578-21006

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