Intervistiamo Fabio Picchi del Cibrèo di Firenze.
Fabio Picchi, patròn del Cibreo: lei scrive su Repubblica, MicroMega, fa televisione. In cucina c’è molto da dire?
La cucina è una sensibilità filosofica e antropologica che investe ogni aspetto del nostro essere. Per essere abbiamo bisogno di mangiare. Ma la gastronomia non ci fa esistere. Ci fa vivere, nel senso pieno del termine. Investe degli aspetti più profondi del nostro essere che connotano la specie umana. Il piacere, l’edonismo. Il rispetto per la natura, per il tempo, per la comunità.
La cucina insegna. Ed ha avviato dentro di me una riflessione profonda che è oramai trentennale.
Tutto parte con l’infanzia. Ero ignorante, in cucina; ignoranza socratica. Ho fatto il liceo scientifico e mi iscrissi anche alla facoltà di scienze politiche. Ma il richiamo della cultura era più forte: la voglia di conoscere.
Infatti per l’antropologo Levy-Strauss “la cucina è la lingua che parlano le culture”. E’ comunicazione, come il linguaggio.
Esatto. Era quello che provavo. Amo conoscere. Mangiare il cibo degli altri, per comprenderli.
Il mio ambiente familiare è stato il motore… qualcosa di straordinario. Un rovesciamento dei ruoli.
Ci spieghi.
Nasco in un contesto particolare. Chi mi avvicina alla cucina è mia madre che a sua volta aveva avuto un grande maestro: il padre di mio nonno paterno. Lei arriva giovanissima in casa del suocero. La nonna lavorava; guidava l’omnibus. Anche questa era una cosa assolutamente fuori dagli schemi. Mentre il nonno cucinava ed era “casalingo”.
Mia madre apprese questo infinito ed amorevole sapere e lo mise in pratica nella nostra casa. Mio padre spendeva tutti i soldi nel cibo. Era un fatto di “piacere”, di godersi la vita. Un approccio epicureo alla felicità. Lo sa che dissi una volta a San Francisco ad un convegno?
Mi dica.
Voi siete la civiltà del frigorifero, noi della dispensa. L’approccio che sta dietro al frigorifero è comprare dei beni che non servono e che poi comunque butterai. Mangiare i surgelati, i cibi precotti. Ma l’Italia, con la sua cultura della dispensa, avrebbe tutto. Li c’è pasta, pane, olio, riso. Certo: la cucina tradizionale costa tempo e fatica. Ma quanto tempo ci vuole per farsi il pane col pomodoro e con l’olio. E vuoi mettere le emozioni che la bruschetta ti dà, in confronto di quelle di un cibo precotto?
E’ un mondo di sensazioni che ha a che fare con la parte più profonda di noi, del nostro cervello. E’ limbica.
E’ un riflesso pavloviano.
Esatto. Ti viene l’acquolina in bocca. Ciò significa che il tuo cervello sta rilasciando le endorfine, che comunicano al corpo e all’anima la sensazione del piacere. E’ un benessere irrinunciabile. E che rende la vita meritevole di essere vissuta. A che serve produrre senza essere felici?
E poi bisognerebbe trovare il tempo per dedicarsi ai piaceri. Che senso ha correre? esistere, senza vivere?
Il tempo dell’anima. La durée di Henry Bergson.
Prendi l’arista. Invece di cuocerla a 250 gradi per due ore, cuocila a 85 per 5 ore. L’ho detto a Raidue. La gente mi ha fermato e mi ha ringraziato per strada.
Bisogna riscattare il tempo. Pensare un’altra società che è sostenibile ed a misura d’Uomo.
Una battaglia di civiltà.
La mia battaglia è la merenda.
Si spieghi.
Si ricorda che bello da piccoli quando veniva il momento della merenda? Il piacere, l’emozione del gusto, la felicità.
Perché non facciamo più merenda? Sono solo cinque minuti!
C’è una mortificazione del gusto.
Che investe tutti gli aspetti veri. L’arte, il teatro, il cinema.
Pierre Bourdieu spiegava che i meccanismi sociali che presiedono alla formazione del gusto estetico sono gli stessi che investono il gusto culinario.
Infatti. Si è imposto un mercato che sacrifica la verità. Anche nella cucina.
Non approvo queste essenzialità conformistiche della cucina moderna; coreografie di cibi. Ma privati dell’emotività. La cucina è limbica, le dicevo.
C’è amore.
Assolutamente. Mia moglie, l’attrice teatrale Maria Cassi, la sedussi quando venne nel locale. Le preparai un caciucco… e galeotto fu quel caciucco!
Ritorniamo alla sua famiglia.
Volevano che diventassi dottore. Ma alla fine ho capito che mi sarei dovuto dedicare a questo. C’era una forte predisposizione. Dicevano che avevo più papille gustative del normale: ed è così. Si divertivano a farmi provare i cibi ed ad interrogarmi sugli ingredienti. Indovinavo sempre.
Un enfant prodige?
Si.
Un rapporto profondo con la cucina, filosofico.
La cucina è generativa. Quando gli uomini avranno capito di avere un femmineo potente dentro di loro, miglioreranno.
Con la cucina si comprende il mondo e si dona amore. Ho fatto questo esperimento: un ragazzo, senza futuro, si droga. Dagli un seme di zucca, fagli curare la pianta mentre cresce. Capirà di avere un senso: nascerà l’amore.
Altro che droghe!
Quando negli anni 70 mi offrivano droghe, dicevo “scusate ma mi aspetta il panino col lampredotto”. Mi giravo e andavo…
Riferimenti:
Ristorante Cibrèo
Via Andrea del Verrocchio 8/r - Firenze
Telefono: 055-2341100; Fax: 055-244966
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