15 Settembre 2008

Pino Torinese, le colline incantate

di Lorenzo Rulfo (Blog Pino Torinese. Racconti di Viaggio)

Pino TorineseA Pino Torinese passavamo con la macchina, più che altro. Per andare fino al Colle della Maddalena, a vedere Torino dall’alto. Ricordo le macchine cariche di amici, col primo caldo primaverile a togliere da una città ancora gelata il ricordo dell’inverno. Percorrevamo le strette e male illuminate strade di Pino, sul fianco delle famose colline torinesi. E arrivavamo al colle, nel silenzio delle poche macchine, delle poche persone. Dietro a noi lasciavamo le curve a gomito per trovarci davanti la città. Né troppo lontana, né troppo vicina, la giusta distanza.

E restavamo, questo lo ricordo bene, in silenzio. A lungo, lunghissimi silenzi con gli occhi ora aperti, ora chiusi. Perché non era vederla, Torino, che ci interessava davvero. No, era sentirla. Sentire il lieve rumoreggiare dato dalla distanza, l’intermittenza di suoni, tutti uguali, mescolati dai chilometri, confusi dalla foschia, abbagliati dal sole. Alle spalle lei, la Vittoria alata, faro della città, voluta e fatta costruire da Mussolini come segno di splendore a ricordare la vittoria, alta quasi 19 metri.

C’è una targa apposta sulla statua, un ricordo a coloro che, per costruirla, hanno perso la vita. Proprio nel percorso che da Pino porta a Pecetto Torinese, proprio in quelle curve che noi, ragazzi, amavamo così tanto e così tanto ci divertivamo a percorrere ad alte velocità, per sfidare noi stessi. Allora ci capitava di pensare, di guardarci negli occhi, di risalire in macchina e tornare a casa, piano, nei limiti di velocità, tutti rispettati, anche quelli per noi assurdi. Piano. Nel silenzio del nostro cuore. Perché è bello capire che silenzio non significa svuotarsi, ma riempirsi.

E poi c’era quella strada quando non c’erano più gli amici, quando seduta accanto a noi era una ragazza, la prima forse di cui ci eravamo innamorati, pieni così di illusione, speranze, sogni. E noi giocavamo ad essere uomini ed eravamo credibili perché mille volte l’avevamo visto fare. Mille volte l’avevamo fatto, nella mente, la sera, prima di dormire, pensato a come, cosa, le parole, gli sguardi, tutto in mente, prima del sonno. E raggiungevamo la Pigna d’Oro, per stupire, perché era bella. E da lì, nel centro di Pino Torinese, sul terrazzo del ristorante erano serie le nostre facce quando i camerieri assaggiavano il vino che poi noi ci sforzavamo di bere, di commentare, di capire.

Ecco, io lì vedo da fuori questi ragazzi che siamo stati noi non molto tempo fa. Lì posso vedere, osservare, e mi scappa un sorriso. Vedo lui che accetta il sigaro offerto dal proprietario e lo accende al tavolo, vedo lei che lo guarda con un piccolo sogno nel cuore, poi lui si alza e si avvia alla cassa, ora più piccolo che mai e chiede il conto. Poi paga, annientando tutto lo stipendio del primo lavoro, e forse qualche aggiunta di genitori comprensivi. E poi torna al tavolo, felice, uomo.

E sento dentro al cuore una incredibile meravigliosa inguaribile malinconia. Poco importa di ciò che è stato dopo, perché c’è sempre un dopo, se i sogni dei due ragazzi erano più forti e più belli di tutto quello che hanno cercato di vivere e di avverare dopo. Poco importa se è arrivato il giorno in cui, disillusi, hanno ceduto il passo alla vita, forse stremati con tutta la forza nel posto, nell’azione, nel pensiero sbagliato. Avranno cominciato ad imparare a vivere.

Ma quelle strade, quelle curve, quegli sguardi, io non li scorderò mai.

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