Galatina dal nome sembra dover essere una cosa piccola, specie per via della sua vicinanza con Galatone.
Invece non è proprio così! Quest’ultimo si scrive accentando la seconda A e quel “one” non sta per grosso, così come l’”ina” non sta per piccolo. Ed ecco che si scopre che Galatina è più grande di Galatone e questa è solo la prima sorpresa che riserva la visita della città.
Innanzi tutto la Cattedrale: grande e maestosa in pietra leccese di un bianco avorio caldo e tenero.
Ma non siamo qui per visitarla; del resto a Lecce ne abbiamo già visto cose di più spettacolari.
La Cattedrale domina la piazza del paese, quasi di fronte c’è un bar e ci fermiamo per un pasticciotto, un tipico dolce leccese di pasta frolla, ripieno di crema e una puntina di amarena, da mangiare caldo. Chiediamo al barista dove si trova la Cappella di San Paolo. “Qui vicino!”: risponde.
Ed eccola, proprio accanto: una cappella piccola e in pessime condizioni, eppure importantissima poiché si trova al centro della celebre tradizione delle tarantolate.
Qui fino agli anni ‘70 venivano le donne affette da un male profondo e, per certi aspetti, inspiegabile: un male dell’anima più che del corpo; un male sociale delle contadine del sud più profondo.
Si diceva che fossero state morse da un ragno, la tarantola, e che per guarirle bisognava farle ballare a ritmo compulsivo della tammorra. Tutta la comunità partecipava al rito, che si concludeva in questa cappella dove le tarantolate bevevano l’acqua del pozzo di San Paolo (non a caso protettore dal morso di insetti e serpenti).
La cappella appare abbandonata, le tarantolate oggi non ci sono più, eppure la tradizione sopravvive nella musica salentina e nella sua evoluzione moderna: la pizzica-pizziaca.
Dall’altro lato del paese, la Basilica di Santa Caterina D’Alessandria.
Passeggiando per le vie scopriamo un paese bello, ordinato e pulito come pochi. I palazzi sono forse ancor più belli di quelli di Lecce: i decori meglio eseguiti e di un gusto più raffinato. Raggiungiamo la Basilica.
Costruita nel 1384-91 da Raimondello del Balzo Orsini è raro capolavoro dell’arte gotica meridionale.
Secondo la leggenda questo personaggio di ritorno dalla Terra Santa, si fermò sul monte Siani per rendere omaggio alla salma di Santa Caterina: una giovane egiziana che, non avendo voluto rinnegare Gesù, subì il martirio nei primi secoli della cristianità.
Devotamente Raimondello si inginocchiò per baciarne la mano e, non visto, le tranciò un dito con un morso. Lesto nascose il dito dietro l’orecchio coprendolo con i suoi lunghi capelli.
Appena tornato in patria cominciò a edificare la Basilica per custodire la preziosa reliquia, di cui però non vide la conclusione.
La chiesa fu continuata dalla sua vedova Maria d’Enghine e ultimata durante il domino di suo figlio Giovanni Antonio.
Per quanto l’esterno sia interessante, in stile tardo romanico a differenza delle altre chiese dell’area, è l’interno la parte davvero sorprendente.
La Basilica di Santa Caterina D’Alessandria è infatti la terza chiesa in Italia per superficie affrescata.
La gran parte degli affreschi è databile fra il 1416 e il 1443, ma ignoti sono purtroppo i nomi degli artisti autori dell’opera, sicuramente di scuola giottesca.
Gli affreschi si sviluppano non solo lungo le cinque navate della chiesa, ma anche negli altri ambienti dell’annesso convento: il refettorio e il chiostro.
Colori forti e vivaci, figure vive e corporee segnano il definitivo distacco dell’arte salentina dalle influenze bizantine. Scene apocalittiche, la vita di Cristo: questi i temi principali della navata centrale. In quella di destra sono narrati episodi della Vergine, la cui fonte, insolitamente sono anche i vangeli apocrifi.
Lecito domandarsi il perché di un’opera che nelle sue forme e misure fa pensare più all’Umbria e alla Toscana, che non alla Puglia. Se da una parte l’eccezionalità della basilica gotica è dovuta alla perdita di buona parte delle opere coeve, a causa sia dell’incuria ma soprattutto dei rifacimenti barocchi, dall’altra la chiesa richiese ai Del Balzo Orsini un impegno economico enorme, giustificato dalla presenza nell’area salentina di una comunità di culto ortodossa così radicata da influenzare pesantemente la cultura.
Basti pensare che il culto ortodosso sarà praticato ancora nel salento fino al 1700.
Ecco allora sorgere nel ‘300 una grande Basilica contente la reliquia di una grande Santa, custodita ancora oggi in un’urna d’argento, per riportare le pecorelle sulla retta via: ossia quella voluta dai Del Balzo Orsini.
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