Ho sempre avuto un debole per le vecchie storie, quelle di cui solo gli anziani sembrano custodire il segreto. Fra le tante che ho avuto modo di ascoltare una che ha lasciato il segno è certamente stata quella che ha avuto come sfondo il piccolo borgo di San Lorenzo. In questo estremo lembo di terra calabrese, diviso fra le imponenti vette dell’Aspromonte e il mare, si è infatti svolto un episodio che ha influenzato in maniera determinante l’evoluzione storica della nostra amata Italia.
Un canuto contadino, vecchio amico di famiglia, mi narra del glorioso passato della sua città, un tempo sede di pretura – fino a metà del ‘900 – avente il ruolo di centro più importante dell’area compresa fra Reggio Calabria e Locri. Nulla di trascendentale a primo impatto, ma col passare dei minuti il racconto si evolve ed io non posso far altro che cambiare idea. L’ago della bilancia è un uomo carismatico: Giuseppe Garibaldi.
Letteralmente rapito dalla maestria con cui il narratore mi intrattiene, scopro della determinante influenza dei laurentini nello sbarco dell’eroe nazionale sull’antistante spiaggia di Melito di Porto Salvo. Uno dei duecentocinquanta garibaldini che, nella seconda metà dell’ottocento, si trovava ad essere inseguito dai borbonici tra le alture aspromontane – tale Alberto Mario – ha riportato tale vicenda nel libro di memorie “La Camicia Rossa”, pertanto ogni dettaglio è giunto intatto fino ai giorni nostri. Io rimango attentamente in ascolto di ogni particolare e apprendo che gli abitanti dell’epoca offrirono generosamente riparo alle stremate camice rosse. Appresa la notizia del presidio garibaldino in tale area, Giuseppe Garibaldi decise di lasciare la Sicilia e di sbarcare in loco: era la notte fra il 18 e il 19 Agosto 1860.
Affascinato da una storia tanto suggestiva scelgo di visitare in prima persona i luoghi dell’impresa. La strada che sale a San Lorenzo si snoda in una serie di tornanti orlati, da una parte, da classici guardrail e, dall’altra, dai fianchi sinuosi dei colli. Man mano che si avanza il profilo dei monti diventa più severo, e nel quadro naturale spiccano i rigogliosi boschi, talvolta incontaminati, nei quali si può ammirare l’espressione di una natura generosa. A valle, invece, spiccano i giochi di luce che il sole compone avvalendosi dell’estro mutevole delle onde di un mare cristallino, capace di infrangersi dolcemente su d’una costa fatta di sabbia e ghiaia. A suggellare il tutto il verde intenso delle piante d’agrumi che si alterna alle tenui sfumature dei fichi d’india, spontaneamente arrampicati sui pendii, ed al giallo acceso della ginestra, antico patrimonio delle tessitrici locali.
I centri abitati – oggi quasi interamente disabitati – si contraddistinguono per la presenza di case che sembrano incastonate nella roccia, a testimoniare l’impiego di materiali poveri e di un’architettura piuttosto semplice. Molte anche le abitazioni dall’apparenza precaria, trascurata: un evidente sintomo dell’abbandono.
Per respirare un po’ di vita ordinaria mi dirigo nella piazza centrale dove si erge imponente un olmo secolare che, attorniato da una base in pietra locale che funge da seduta, si pone all’attenzione dei viandanti come simbolo cittadino. A godere della frescura offerta dalla sua maestosa chioma noto alcuni anziani intenti a dialogare, pertanto mi aggrego a loro. E’ l’occasione buona per scoprire l’amore della cittadinanza per l’acqua che sgorga limpida dalla montagna e si dona generosamente ai passanti attraverso decine di fontane sparse sul territorio. E’ questa l’ultima immagine di San Lorenzo che ora porto nel cuore…
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