27 Agosto 2009

Tra mito e realtà

di Daria Castaldo (Blog Gaeta. Alla Scoperta della nostra Italia)

Veduta del Porto

Veduta del Porto

Alcuni versi dell’Eneide, raccontano come Enea approdato in questo lembo di terra lo avrebbe denominato Cajeta dal nome della sua nutrice. L’antico geografo greco Strabone, invece, ricordava come i primi navigatori greci indicassero con il nome di Kaietas o Kaiattas, divenuto poi Cajeta - in greco curvatura, cavità - l’ampia insenatura che lungo il litorale del basso Lazio forma una curva nel mare, un porto naturale e sicuro dove rifugiarsi in caso di tempeste.

Questa insenatura ospita il Golfo di Gaeta: la cittadina guarda dritto verso il mare, protetta dai monti Ausoni e Aurunci, che digradano dolcemente verso la costa rendendo spigoloso proprio quel tratto, lungo un litorale che invece è basso e piatto fino a prima di Gaeta.

Circondata dal mare e protetta dai venti provenienti da est, questo luogo gode di un clima dolce ed invitante. Venendo da sud, una volta entrati in città, lunghi filari di palme costeggiano un lungomare ordinato che diventa porto man mano che si arriva al centro e sul versante opposto case dalle mura colorate si alternano a vicoli strettissimi e pittoreschi che si addentrano fino al cuore di Gaeta. Chi viene qui per la prima volta ha la sensazione di trovarsi in un non luogo, immerso in un’atmosfera serena di eterno incanto, sospeso al tempo dei ricchi romani che ne fecero luogo di villeggiatura, lasciando tracce ancora oggi vividissime.

Il nucleo più antico della città arroccato alle falde del Monte Orlando, nell’alto Medioevo divenne un fiorente centro fortificato, circondato da mura e dominato da un grande castello, con una rete di fitte stradine ciottolate e campanili normanni, che ancor oggi delineano l’antico quartiere di Sant’Erasm. Lungo queste strade, la ricchezza ed il pregio di costruzioni antichissime ma segnate dal tempo - come il Duomo con il suo museo, le Chiese della SS. Annunziata, di San Giovanni a mare, della Sorresca, di San Domenico, di San Luca, di San Francesco, di Santa Caterina d’Alessandria o il Santuario della SS.Trinità sul Monte Orlando -, conferiscono alla cittadina un fascino austero di impronta medievale, che la rende unica nel contrasto con l’atmosfera viva e frizzante del lungomare.

Ed è proprio nell’area del lungomare, il cosiddetto Borgo o Spiaggia, che si sviluppa la Gaeta più vivace e più conosciuta al turismo di massa: lungo via Indipendenza botteghe colorate, negozietti tipici e piccoli bar sempre pieni di gente fanno la movida di un posto dai mille volti, dove storia e natura hanno depositato tesori inestimabili.

Vicoli di Gaeta

Vicoli di Gaeta

Quattro passi, attraverso il centro storico ed il quartiere di Sant’Erasmo, e Gaeta mostra uno spettacolo di una bellezza disarmante: guardando dal promontorio verso il mare il Golfo si apre in tutta la sua grandiosità con le isole Pontine in lontananza, circondato dal Parco regionale urbano di Monte Orlando, che racchiude una vegetazione  variopinta e rara – dalla palma nana all’orchidea selvatica - con specie animali poco diffuse.

La roccia del Promontorio del Monte d’Orlando ad un tratto mostra tre grandi spaccature verticali: una tradizione antichissima vuole che alla morte di Cristo un terremoto abbia spaccato la montagna in tre parti, conferendole l’appellativo di Montagna Spaccata.
In questo luogo elementi sacri e profani si mescolano fino a confondersi, sollevando un alone di mistero che rende questo luogo carico di fascino: una delle aperture è chiamata Grotta del Turco, legata nell’immaginario collettivo alle vicende di scorribande saracene; nei pressi dell’area dove sorge la chiesa della SS. Trinità invece, vi è un’altra cavità le cui pareti riportano le tappe della via Crucis, a cui vi si accede tramite un corridoio aperto.
Ma proprio da questo punto parte una scalinata in pietra che conduce alla spaccatura più profonda, quella più suggestiva, teatro - secondo la tradizione – di una vicenda misteriosa. All’interno di questa fenditura infatti è impresso nella roccia il segno di una mano, la cosiddetta “mano del turco”: si dice che un musulmano incredulo di fronte alla miracolosa spaccatura dalla montagna, toccò la roccia, che proprio in quel momento si fuse come lava.
Leggermente più in basso troviamo la cappella del Crocifisso, eretta forse alla fine del secolo XIV su di un masso incastrato nella fenditura.

Questi luoghi, accarezzati dalla mano leggera della leggenda e da quella imponente della storia, racchiudono tutta la bellezza di un’Italia meravigliosamente unica.

(Foto 1 di Luigi Versaggi, Foto 2 di Boy27wonder in licenza Creative Commons)

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