15 Aprile 2010

La festa della Madonna

di Andrea Bonfiglio (Blog Reggio Calabria. Racconti di Viaggio)

Terminato Agosto è giunta al termine anche l’alta stagione turistica: la maggior parte dei visitatori giunti in Calabria alla ricerca di sole, mare e spiagge da favola ha ormai lasciato questa incantevole regione, ma io non ho fatto altrettanto. Sono rimasto a Reggio Calabria e mi sembra quindi di vivere un giorno ordinario, uno come tanti, ma in realtà non è affatto così. Il calendario annuncia, puntualmente, il secondo venerdì di settembre ed allora capisco il motivo dell’attesa che si respira in loco. Si tratta della data tradizionalmente dedicata dai reggini alla patrona della città: Maria Santissima della Consolazione.

Processione

Processione

Uscito di casa al mattino presto trovo le strade già ornate di drappi, luminarie e bancarelle che espongono prodotti enogastronomici “made in Calabria”, quasi a voler segnalare, con la loro presenza, l’imminente avvio di un evento che esula dalla “normalità”. Al mio fianco, numerosi viandanti passeggiano fin d’ora per il capoluogo e, con estremo calore, si scambiano sempre lo stesso augurio: “Bona Festa Marònna”.

Tutti sanno che l’appuntamento è fissato – per tradizione – al calar del sole, presso la Basilica dell’Eremo, nella parte alta del borgo. Non posso mancare alla nottata che viene dedicata alla Madonna, in onore della quale i fedeli organizzano una veglia di preghiera. Fra la gente accorsa al santuario noto anche una nutrita schiera di uomini che trascorre all’esterno le ore che separano dall’alba, intonando canti e danze popolari. I forestieri come me si pongono così la medesima domanda: “Chi sono?”. Ed i locali ripetono la medesima risposta: “Sono i Portatori di Vara“. Spetta a loro, il sabato, lo sforzo fisico necessario a garantire l’annuale processione religiosa.

Il tempo scorre cadenzato; la luna abdica e lascia il trono etereo al sole. L’effige della Vergine, opera cinquecentesca del maestro reggino Andrea Capriolo (dimensioni: cm 120×120), è pronta ad essere trasportata al Duomo, dopo un percorso di circa nove chilometri. Mi confondo tra la folla e non posso fare a meno di scorgere con emozione gli occhi dei credenti che indugiano sul dipinto ritraente la Madonna che sorregge il bambin Gesù – sotto lo sguardo attento di San Francesco e Sant’Antonio da Padova – mentre le mani dei portatori afferrano le grandi travi poste alla base della cosiddetta “Vara”, la monumentale struttura ottocentesca, realizzata in lamina d’argento e legno, che ospita il venerato quadro.

L’atmosfera è magica, l’aria trasuda un sentimento religioso che mai avevo sentito così forte prima d’ora. Un lungo serpentone umano si snoda per le vie cittadine ed al contempo alcuni fedeli osservano la scena dai balconi delle proprie case, ove porte e finestre sono rigorosamente aperte in omaggio al transito di Maria.

All’arrivo in piazza Duomo, un’ultima fatica: la “Volata”. Si tratta di compiere, di corsa, un giro dello slargo, prima di accompagnare l’immane effige entro le mura della cattedrale. I fisici di questi uomini non sembrano soffrire più di tanto all’apparenza, forse in virtù di uno spirito rafforzato all’ennesima potenza da una devozione senza fine. Guardando con maggiore attenzione, tuttavia, mi colpisce giusto il volto di qualcuno di loro, giacché si mostra in una smorfia che lascia trapelare una legittima fatica.

Il rito religioso volge così al termine, ma non le piacevoli esperienze. Aggirandomi per le affollate vie del centro, incontro curiosi personaggi che mi permettono di scoprire qualcosa in più sulla cultura locale. Inizialmente, mi imbatto nella figura del “banditore”, un signore di mezza età dal profilo pingue, in costume d’epoca, che declama in rima – accompagnato dal ritmo incessante di un tamburo – il programma degli eventi cittadini. Più tardi è la volta di un “cantore” e dei suoi musicanti, anche loro in abbigliamento tradizionale, che improvvisano terzine, quartine e sestine su argomenti suggeriti dai passanti.
Data la simpatia manifestata, decido di metterli bonariamente alla prova sfidandoli in ottava rima, il classico schema della poesia popolare toscana, ma non riesco a metterli in difficoltà. Sono davvero preparati: bravi!

Il mio soggiorno in terra calabra giunge pertanto alla conclusione, lasciandomi in eredità ricordi eccezionalmente coinvolgenti e divertenti. Un’esperienza che ogni viaggiatore dovrebbe provare almeno una volta nella vita.

(Foto di Salli)

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