11 Giugno 2008

Una giornalista “scalza” nella città “rammendata”

di Marcello Di Sarno (Blog Napoli. Interviste Giornalisti)

La giornalista di Telecapri Cristiana Barone* intervistata per Comuni-Italiani.it

Quando è scattata in lei la scintilla del giornalista e chi sono i suoi modelli?
La scintilla è scattata la prima volta che ho visto all’opera una redazione giornalistica, almeno 17 anni fa e da subito ho capito Cristiana Baroneche lo sarei diventata. Chi conosceva all’epoca la mia emotività giovanile, anche se in verità è immutata, non avrebbe scommesso due lire sulla riuscita. Ed invece eccomi a percorrere ogni giorno, in lungo e in largo le storie della strada e, talvolta, di chi si sente “ultimo” o vinto.
Modelli non ne ho. Ho imparato ad ascoltare le persone e a leggere le carte, scrivere m’è sempre piaciuto e, la tv credo sia più immediata ed efficace di mille parole; di qui il mio percorso.

Che ruolo ha avuto Napoli nel suo percorso professionale?
Napoli m’ha cresciuta, formata e cullata. E ancora oggi, nonostante le molteplici difficoltà di sopravvivenza che spesso ci complicano la quotidianità, non la lascerei mai. Ho avuto esperienze al nord Italia, in strutture nazionali di prestigio ma, chiaramente, sono tornata.
Non potrei lasciarla, mi sembrerebbe un tradimento per chi come me fa la professione con passione, preferisce restare e combattere, piuttosto che scappare per mete forse più rosee ma meno eccitanti.

Rifiuti, criminalità, istituzioni inadeguate: parafrasando il titolo del suo libro Napoli è giunta ormai a un “vicolo cieco”?
Napoli non sarà mai un vicolo cieco. Napoli ha mille volti e mille vicoli ciechi. Ma guardando poco distante, un altro vicolo si apre ad una dimensione surreale, magnifica. E’ una città rammendata e scrostata dal tempo. Che ha l’odore fetido della “mala gestione” amministrativa. Tutti fanno o hanno fatto ciò che potevano, ma i risultati sono lapalissiani.
Sono convinta che dietro l’angolo si nasconda sempre altro, tra vicoli e vicoletti, perciò Napoli non muore mai. E’ sordo il silenzio delle istituzioni, spero non sia più cieco il popolo napoletano quando avrà la possibilità di farsi “udire”.

Di “umane vicende” ne ha incrociate un’infinità. Ce n’è una che ricorda con particolare orgoglio o coinvolgimento?
Di umane vicende ne incrocio ogni giorno. E ne vado orgogliosa. Certo alcune sono pesanti da dimenticare o lasciare nel cassetto della redazione. Spesso ci penso alle vite spezzate delle persone che si aggrappano a me.
Una in particolare, la morte di un bambino a Materdei. Ancora custodisco la sua foto nel portadocumenti. E con i genitori sono in costante contatto. Ero in sala rianimazione quando è morto e sull’uscio di casa 10 minuti più tardi a comunicare alla famiglia il decesso. Straziante. Ma raccontare è questo.
Molti colleghi non “sentono” e non capisco come facciano. Io per “comunicare” devo necessariamente “provare” emozione. In ogni caso mi immedesimo. E questo mi aiuta a far raccontare loro le storie che vivono.

Come suggerisce la striscia che quotidianamente conduce, il giornalista è soprattutto un investigatore della realtà che lo circonda. Quanto si rischia a investigare negli interstizi di Napoli?
Si rischia molto. Ma bisogna sbagliare e da questo trarne frutti e imparare. Osare non serve a nulla. Una macchina incendiata mi ha insegnato tanto. Ma scovare, cercare di capire, indagare per mettere all’angolo chi deve poi fare il proprio dovere mi intriga, molto. Lo faccio anche con le piccole cose. E’ il modo cervellotico di vivere. Da attenta osservatrice.

Un titolo e trenta righe per raccontare cosa va e cosa non va della sua città.
“NAPOLI: città rammendata dai sogni infranti”
Napoli da analisi improbabile. Città dai toni forti e contrastanti. Prodigiosa metropoli, “naturalmente” bella ed indiscutibilmente invivibile. C’è chi fugge e chi invece “resta… a guardare”! La città, ogni giorno, fa i conti con giovani criminali o incalliti camorristi, mentre la struttura sana della collettività civile, gente onesta e forse troppo stanca, spera non sia troppo tardi per rialzarsi e sentirsi nel mondo, piuttosto che al “terzo mondo”. Napoli gioca la sua partita nella speranza di vincere il degrado in cui versa, del modesto, ovvero, povero tessuto socio economico cui è costretta.
Eppure, se dovessimo addurre responsabilità dovremmo tutti passarci una mano per la coscienza: politici ed amministratori compresi. Tanto lo si deve anche al sistema della “camorra spa” che talvolta “garantisce” più che lo Stato stesso.
La fotografia di questa “epoca partenopea” non vorremmo vederla dipinta di rosso, il colore del sangue versato. Il napoletano è forse ormai abituato a “campare” alla giornata. Come se non credesse più in niente. Come se non avesse obiettivi e mete da raggiungere. Come se tutto fosse dovuto e nulla durasse per sempre - perciò il cimento di spacciare e guadagnare, di rubare e uccidere: tutto diviene secondario rispetto al “profitto” cui necessitano molte popolose famiglie. Case occupate, vite allo sbando, istruzione come optional: questi sono i colori dipinti dentro le case di quasi tutti. Il volto segnato da rughe profonde evidenzia la spossante ricerca di equilibrio, in una terra che di controsensi ne ha più che troppi. La sopravvivenza è l’unico vero scopo. Mostrare la forza è un obbligo. Chi vive in quartieri ghetto, deve tirar fuori le unghie per non lasciarsi conglobare dentro la grossa, anzi enorme, massa di letame che ci circonda.
Tutto è uguale a ogni luogo: dappertutto la stessa sporcizia che insudicia anche gli ultimi civili laici borghesi sopravvissuti. Ogni quartiere di questa città sembra “periferico” anche dove non lo è. Napoli ha l’odore di un città puzzolente, fetida, immorale, disonesta e corrotta. Una città che è diventata così. Chi la organizza, amministra e gestisce l’ha volutamente portata allo sfascio. Ma Napoli e i napoletani reagiscono e non si fanno “fregare” più.
Dentro e fuori le case, il caos. L’accozzaglia disordinata entra dalle strade ed esce dalle finestre. Indelebile l’odore di creolina e disinfettante economico all’ingrosso dei bassi. Dagli attici, penzoloni, si scrostano le antiche pitture, scolorite dal fumo denso della caligine. Annodate ai fili di ringhiera, le lenzuola svolazzanti, come stracci appesi allo smog di una “città rammendata”. L’eco delle melodie napoletane si propaga per condominio: musica in comproprietà. A Napoli la scelta della colonna sonora è obbligata, costretti tutti dalla volontà del vicino.
Poi ci sono loro, i rom: stranieri in casa nostra. Gli irregolari che vengono e fanno tutto: “tanto qui tutto è concesso”. Rubano il rame, comprano i rifiuti e li mettono dentro le baraccopoli, abituati già a vivere su enormi pattumiere. Di tutti i colori ed etnie. Collocati ad ogni angolo di strada. Sui marciapiedi elemosinano il dazio per il camorrista che generosamente concede piazza e semaforo. Qualche altro centesimo gli resterà per bere vino in scatola di cartone e fumare “l’erba del vicino”, l’extracomunitario del marciapiede accanto. I giardinetti sono la loro casa. Nessuno li ospita, se non le aiuole su cui bivaccano fino alla successiva innaffiata municipale. I cartoni - cui si adagiano – umidi a tal punto da non poterli accogliere per un’altra notte, si sposteranno in altre aiuole, poco distanti. Anche loro si ammalano. Anche i clandestini, quelli irregolari. Hanno la lebbra, piattole e rogna e sono assisiti nelle stesse lenzuola di chiunque. Ricoverati in ospedale tra altre centinaia di barelle in attesa di cura. Il degente attiguo, un anziano che non deambula, urina dove può: i bagni, fuori misura, sono proibiti alla carrozzella. Loro, i miserabili emarginati vecchi, non entrano. I clandestini, illegittimi e irregolari, mendici e questuanti, si. Siamo la terra promessa degli zingari.
La stazione è dell’abusivismo e dell’illegalità diffusa. Il peggior biglietto da visita, di accoglienza turistica, della città. Nei vicoli del Terminus, si evince la fisionomia multietnica della città e le sue origini. Piazza Garibaldi, slargo di prostitute, viados, paccottari e mendicanti di sogni infranti. Piazza disattenta, senza memoria né gloria, in assenza di regole e rispetto, lontana dalla normalità, distratta. Forestieri e turisti allo sbando: vacanzieri in fuga. In lotta con scippatori e borseggiatori.
In ogni vicolo di Napoli, una storia. In ogni angolo di strada, un’intelligenza schiacciata. Siamo tutti vittime d’una terra che non muore mai. In attesa di una nuova alba che colorerà un giorno diverso e fuori dal buio pesto cui, loro, i POTENTI ci hanno gettato.

Informazione digitale, multimedialità, blog etc. i giornalisti di domani saranno tutti seduti dietro una scrivania o ci sarà ancora spazio per i reporter d’assalto come lei?
Me lo auguro. Altrimenti, il giornalismo è finito. Esiste la copia fotostatica di tutto. Bene il blog, la multimedialità dell’informazione, ma il “giornalista scalzo” cui Siani è stato anticipatore e promotore non si vede più. Almeno, questa professione, dovrebbe garantire l’estro personale, la creatività soggettiva e, ovvio, la professionalità equilibrata. Nell’ambiente, di giornalismo equilibrato e puro, escluso Telecapri, la mia agenzia NewBigol e pochi altri, non ne vedo.

*E’ caposervizio dell’emittente televisiva Telecapri, per la quale conduce la trasmissione d’inchiesta giornalistica “Spy investigation”. Ricopre anche il ruolo di direttore della press agency “New Bigol”, attiva, tra le altre cose, nel campo della formazione giornalistica e della comunicazione in genere.

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1 commento a “Una giornalista “scalza” nella città “rammendata””

  1. mctrit8 scrive:

    Bravo l’intervistatore…stupenda l’intervistata!

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