Le statistiche degli ultimi anni dicono che a Belluno si vive meglio che in qualsiasi altro posto del Bel Paese. Una sorta di medaglia del “buon vivere” di cui Roberto De Nart conosce entrambe le facce, visto che nel capoluogo bellunese c’è nato, cresciuto e tutt’ora vi svolge il grosso della sua attività pubblicistica.
Da questa zona scrive da anni per il quotidiano Corriere delle Alpi, dopo aver scritto in passato per Il Gazzettino (quotidiano del Triveneto) e altre testate minori.
Dirige inoltre un quotidiano on line, Belluno Press, e due periodici: La Pagina, mensile di politica, attualità e cultura, diffuso nei comuni della Valbelluna (con una tiratura di 42 mila copie); Filò, rivista bimestrale che si occupa di turismo, eventi ed economia nel Triveneto (tiratura 50 mila copie).
Nell’intervista rilasciata per Comuni-Italiani.it spiega cosa significa fare giornalismo da queste parti.
Roberto De Nart e il giornalismo, storia di una passione.
La passione risale ai tempi delle scuole superiori, nella prima metà degli anni ‘70. Il battesimo della carta stampata avviene su un giornalino tirato a ciclostile del Circolo culturale Armigeri del Piave, un sodalizio di collezionisti per lo più di armi antiche, che oggi ha sede a Treviso.
Poi c’è stata una breve parentesi sindacale (come segretario provinciale Cisal-Fialp, utile ad approfondire il “sindacalese”), quindi la collaborazione con i quotidiani locali, prima con Il Gazzettino e poi con il Corriere delle Alpi, che prosegue tutt’oggi. Oltre alla direzione del mensile locale di approfondimento La Pagina e del bimestrale di turismo Filò distribuito nel Triveneto.
Cosa significa fare giornalismo a Belluno?
Come tutte le piccole città, qui ci si trova a dover limitare la propria inclinazione specialistica per aprirsi a 360° su tutto ciò che succede. Con i relativi vantaggi e svantaggi. Mi spiego. A Milano può pur succedere che un giornalista nasca come cronista di nera e vada in pensione scrivendo ancora di cronaca nera o giudiziaria. A differenza delle piccole realtà dove ognuno scrive un po’ di tutto.
Belluno, inoltre, è stata terra di grande emigrazione e di occupazione: nel settembre del ‘43 con la cosiddetta costituzione della zona di operazione dell’Alpenvorland venne annessa al Reich insieme alle province di Trento e Bolzano. Qui accadde lo storico incontro tra Hitler e Mussolini, con il progetto, poi naufragato, dell’attentato che avrebbe potuto cambiare la storia, quindi la Resistenza partigiana. Insomma, una rilevante quantità di spunti dove attingere. Eppoi l’aspetto paesaggistico, le Dolomiti, ahimè ancora sotto utilizzate nel panorama internazionale.
Storia ed emigrazione sono centrali nella sua produzione pubblicistica. Tra questi c’è una testimonianza bellunese che ricorda maggiormente?
Ne avrei diversi. Sono legato maggiormente a quelli che uniscono il passato al presente. Interviste con aneddoti personali di chi era “in prima linea”. Ricordo quella a Vittorio De Biasi, che all’alba del 26 gennaio del 1943, prima dell’assalto decisivo a Nikolajewka (sul fronte russo), risponde al suo comandante che gli chiedeva stupito “cosa se ne facesse della gallina appesa al cinturone“: “Questo è il mio pranzo e la mia cena“.
Le Dolomiti e l’aspetto paesaggistico influenzano parte della sua attività. In che termini?
Con il Gruppo alpini di Salce (frazione di Belluno) collaboro alla redazione di Col Maòr, il periodico che da cinquant’anni tiene vive le tradizioni locali e alpine. Ed è anche considerato la voce irriverente dell’Ana (associazione nazionale alpini). Tant’è che lo scorso anno, per un editoriale piccante sono stato “scomunicato” per un anno dai vertici milanesi per i quali, evidentemente, il rancio dev’essere sempre ottimo e abbondante.
Perché, a parer suo, qui si vive meglio che in altre parti d’Italia?
Ad affermarlo sono le indagini condotte negli ultimi anni da autorevoli testate quali il Sole 24 Ore e anche Legambiente. Per le quali Belluno è la città più vivibile. A determinare questi piazzamenti ritengo siano i parametri della criminalità, che qui è contenuta e dei tempi di attesa nei servizi, dalla sanità agli uffici in generale.
Se, però, chiedi a un giovane come si vive qui, ti sentirai rispondere che a Belluno non c’è nulla. Io dicevo la stessa cosa trent’anni fa. Significa che in questi anni non è stato fatto ancora abbastanza per i giovani.
Se dovesse fare una breve radiografia della città che titolo le darebbe?
“Belluno, la bella addormentata”
Promossa nella qualità della vita, circondata dalle più belle montagne al mondo, Belluno non riesce a decollare completamente sotto il profilo turistico, inteso come presenze distribuite in tutto l’arco dell’anno. Forse si è investito troppo poco nella cultura dell’accoglienza e nel sostegno alle iniziative dei giovani. Penso agli agriturismi fiorenti che si trovano in Toscana affiancati alle colture biologiche.
Mi piacerebbe che Belluno importasse quei modelli di turismo, rispettosi dell’ambiente e dell’architettura rurale. Cambiare direzione, valorizzare di più le ricchezze del territorio e non solo cemento, asfalto e impianti di risalita.
I luoghi simbolo della tua quotidianità bellunese di ieri e di oggi
Sicuramente il cuore è in Piazza dei Martiri. Che rappresenta il centro, perché se ti sposti in piazza Duomo a 300 metri, per i bellunesi non è più centro. Piazza dei Martiri negli Anni ‘70 era il salotto della città. Gli studenti si ritrovavano tutte le sere per le vasche sul liston, ossia la passeggiata su e giù sul marciapiede centrale che unisce i due estremi della piazza. Dove nascevano anche gli amori.
In quegli anni cosa rappresentava per te e per la gioventù locale l’appuntamento della “Sagra dei fischietti”?
Quando ero ragazzino la sagra dei fisciot (in dialetto locale) - che cade in primavera, due domeniche prima di Pasqua - aveva più una connotazione religiosa. Anche se per la gioventù era solo un’occasione per rimanere in piazza dal mattino alla sera.
Oggi prevale l’aspetto commerciale, le bancarelle, le merci, salsicce e formaggi, come in tutte le fiere del Veneto.
Da appassionato di narrativa, dove ritrova le sfumature “fantasy” di Belluno?
In molti posti. Ad esempio, in quelli legati alle Anguane o Aguane del Cadore, ossia le streghe, come la grotta di Domegge (detta “busa delle longane”) in località Deppo. E una serie di personaggi fantastici che ricorrono nelle leggende popolari. Nelle vicinanze, c’è il Castello di Zumelle, nel comune di Mel, dove il gestore improvvisa per i suoi ospiti delle suggestive rappresentazioni del conte Murcimoro e del ratto di Atleta.
Da web writer e convinto fruitore della Rete, come vedi il futuro della professione giornalistica guardando in particolare al rapporto con internet e alle nuove forme di giornalismo partecipativo (blog, social network, etc.)?
La centralina elettronica nei motori ha soppiantato lo spinterogeno e i meccanici si sono aggiornati professionalmente. Così i giornalisti, oggi, devono saper destreggiarsi nel web, perchè questo è il futuro. L’informazione gratuita e la freepress guadagnano quote di mercato.
Cambia la professione, ma c’è un retroterra intoccabile rappresentato dall’editoria finanziata dallo Stato. Da un lato i giornalisti seduti in redazione supertutelati e ben pagati. E dall’altro i precari che fanno le corse per mettere insieme mille euro al mese. Questo è il vero problema di chi si affaccia oggi alla professione di giornalista.
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