Massimo del Papa, giornalista e scrittore intervistato su Fermo per Comuni-Italiani.it
Quando ha deciso di fare il giornalista?
Non l’ho deciso, è capitato. Quello che so, è che questo è quello che ho sempre voluto fare e che, appena uscito dall’università, con la laurea in legge in tasca, ho subito contattato una redazione giornalistica di Fermo.
Mi hanno detto: “Abbiamo bisogno di un giudiziario; il tribunale sta lì, buona fortuna!” E questo è stato l’esordio!
Oggi, dopo 20 anni, penso che il giornalismo sia un mestiere morto, irreversibilmente assorbito dalla pubblicità, e preferisco definirmi semplicemente “uno che scrive”.
Il mio mestiere riempie la vita di parole, che considero un ponte verso la gente e, dopo averlo praticato per tanti anni e, più in generale, usato la parola, scritta e parlata, in tutte le sue declinazioni, sono arrivato al capolinea.
Ora mi dedico alla poesia: scrivo liriche e ne traggo spettacoli che porto nei teatri o dove capita.
Ancora parole, ma in questo caso l’esperienza è intensa e molto gratificante.
Come vede lei la città di Fermo?
Fermo sta tutta nel suo nome: potrebbe essere bellissima, ma è spenta.
La sua Piazza del Popolo è una delle più ammalianti d’Italia, forse anche del mondo, ma è sempre vuota, inesorabilmente vuota. Pretendono di rianimarla facendone un parcheggio. Fermo non l’ho mai vista cambiare davvero in 45 anni, ha assorbito tutto - il boom economico, le crisi, la globalizzazione, internet - restando come cristallizzata nei suoi muri, nei suoi umori. Come se il futuro le scivolasse addosso.
La qualità più caratteristica della città?
E’ proprio questa “solenne” apatia. I visitatori, i turisti la girano, ne apprezzano gli infiniti scorci, fatti di vicoli inerpicati, di mura romane, di stili stratificati e contaminati, ma non riescono a cogliere un’atmosfera di fondo, un’anima, che poi è quella che rende unica e immortale una città.
Fermo non ce l’ha e se c’è, purtroppo, è fatta di mestizia, di rassegnazione.
Tre posti del suo comune che secondo lei vale la pena visitare.
Sicuramente la già citata Piazza del Popolo e il Girfalco, cioè il Duomo.
Ma bisogna dire che è affascinante girarla tutta la città e perdersi nei suoi echi desolati eppure belli. Di notte poi è fantastico e ancor più suggestivo.
Avete una tradizione enogastronomica particolare?
Non saprei rispondere bene a questa domanda. Ci sono tanti piatti, retaggio di una cucina contadina e, come tali, sostanziosi e semplici. Piuttosto che di una tradizione specifica, parlerei della riscoperta di una dimensione tipica, fatta di sapori della terra. Non a caso una delle massime rassegne enogastronomiche d’Italia si tiene proprio qui, a Fermo, e si chiama Tipicità. La cucina, il gusto, rappresentano un formidabile veicolo di autoidentificazione e di autoaffermazione. Forse il più potente, perché immediato.
Nella gastronomia di una comunità ribollono la sua storia, la sua cultura: come dire “Dimmi come mangi e ti dirò chi sei“.
Un momento particolare della vita cittadina?
Il 15 agosto, giorno dello spasmodicamente atteso Palio dell’Assunta, il torneo cavalleresco per contrade, preceduto dalla grande sfilata in costumi d’epoca, appannaggio dei notabili cittadini, sindaco in testa.
Cosa secondo lei potrebbe essere valorizzato meglio?
Più che di singoli aspetti, parlerei di una mentalità che ancora non esiste.
Pensiero comune è che la città basti eternamente a se stessa, dimenticando che da decenni il turismo si è fatto di massa, raggiunge tutto il mondo e la globalizzazione ha rimpicciolito il pianeta.
Ormai anche una famiglia di possibilità medie conosce le principali capitali, ci è stata almeno una volta. Pretendere che Fermo resti quella che è, e che così possa competere con altre città, è puerile.
Un esempio? In questa città che ha preteso di diventare capoluogo di provincia, ci sono solo due alberghi. Mediocri tra l’altro. Non c’è una vera consuetudine turistica, che è fatta più di spirito che di singole intraprese. Basta girarla Fermo, in una domenica estiva qualsiasi: strade desolatamente vuote, esercizi orgogliosamente chiusi, l’odore di muffa, di muri splendidi ma vecchi che ristagna fra gli echi dei piccioni.
Fermo è patologicamente chiusa, la gente esce poco, vive rintanata nelle case, spolverando ricordi e rimpianti; c’è gente, qui, che si vanta di non esserne mai uscita, neppure un giorno, di non essere mai arrivata neppure nella vicina, e odiatissima, Ascoli Piceno. “Fermo la più bella città del mondo”, dice la gente qui. Il che semplicemente non ha senso. Il fermano, può trovarsi di fronte al Partenone, alla torre Eiffel, alle Piramidi, ai grattacieli di New York, alla Muraglia cinese, e ti parlerà sempre e solo della sua città. Purtroppo, mancano anche gli anticorpi di una informazione degna di questo nome, in grado di criticare e di pungolare. Qui i vari fogli e foglietti sono riempiti da gente che è geneticamente agiografica verso il potere, qualsiasi potere, a prescindere. Sperano di entrare a farne parte, e incoraggiano un idillio ora vittimistico, ora al limite del razzismo, che si risolve in una bolla senza spiragli.
Un oggetto che nella sua memoria richiama Fermo.
Non un oggetto, ma una stagione: l’estate. Era il periodo in cui tornavo con la famiglia qui, che era la città natale di mio padre, lasciando Milano, dove io sono nato. Estati fatte di mare, di giochi, ma anche di torpide, infinite attese del ritorno.
Ci racconti un suo ricordo personale legato alla città.
Giravo per i vicoli, sempre scuri, tetri, ne rimanevo affascinato per la loro indiscutibile bellezza ma anche esasperato. Pensavo: O cielo, non potrei vivere qui per tutta la vita. Il che, da un certo momento in poi, è esattamente quello che è successo!
Come vede il futuro della città?
Come il passato: sostanzialmente immobile.
Ci sono dei personaggi illustri da ricordare vissuti nel suo comune?
Fermo ha una delle diocesi più estese (e potenti) di tutto il centro Italia ed è terra di innumerevoli prelati e cardinali. È rimasta Stato della Chiesa fino all’ultimo, dimensione che forse spiega, in parte, il suo retaggio fatto di diffidenza, di chiusura, di una sorta di omertà… massonica.
Un fatto di storia, anche recente, legato a Fermo.
Penso alla conquista della sospiratissima provincia, una battaglia cominciata all’indomani dell’unità d’Italia. L’argomento principe per i fermani è: odiamo Ascoli (da cui Fermo finora ha dipeso). Nel 2009 la provincia partirà, al modico prezzo di 50 milioni di euro solo per cominciare. C’è grande attesa per la sarabanda di cariche, di poltrone, di uffici stampa che ne consegue; vedremo cos’altro porterà questo nuovo ente, a parte sprechi, burocrazia e clientelismo, tutte cose che qui tutti sembrano accogliere con massimo gaudio.
Vuole aggiungere qualcosa?
Sì, che Fermo non è il posto in cui inviterei qualcuno a vivere: è una città spenta, che ti spegne. Un impasto di nostalgia e di malinconia. Un incantesimo che però, come tutti gli incantesimi, regala inaspettati momenti di magia. Ti si conficcano in cuore, come frecce avvelenate, e non se ne vanno. Sono ottimi per scrivere poesie…
1 commento a “Ombre su una città da risvegliare”
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Fermo città dello sconforto, o piove o tira vento o “sona” a morto.
Ma fermani si nasce.. e io lo “nacqui” quasi 62 anni orsono. 20 anni per crescerci nel bene e nel male, amarla e odiarla nello stesso tempo e poi..via. Un baratto fra Sisto V e la “Madunina” durato 40 lunghi anni, quasi una vita intera. Per lavoro ho girato l’italia e parte del mondo e oggi per quell’incantesimo di cui tu parli sono tornato.