Il Sulcis Iglesiente non è solo terra di miniere. La parte sudoccidentale della Sardegna, infatti, è depositaria di emergenze archeologiche di un certo rilievo. Se quindi decidete di visitare questa zona,
ricordate di non tralasciare di inserire nel vostro itinerario il tempio di Antas, situato nel territorio di Fluminimaggiore. Questo edificio, che era rimasto leggenda locale sino a quando Alberto Lamarmora, nel 1838, non lo individuò durante il suo Voyage en Sardaigne, testimonia la presenza di un culto attivo sin da epoca punica e continuato sino alla tarda età imperiale.
Le rovine del tempio si ergono in piena campagna (non preoccupatevi: le indicazioni sono precise e trovarle sarà facile). Non pensiate però che abbiano resistito indenni allo scorrere del tempo. Quando il tempio fu oggetto di studi per la prima volta, negli anni Sessanta, le colonne erano sì in situ, ma sparse qua e là tra le sterpaglie che ricoprivano il luogo. L’archeologo Ferruccio Barrecca, che si occupò degli scavi del tempio sino al 1976, fece fare un’anastilosi (una ricostruzione completa usando i materiali presenti) del monumento, il cui risultato fu l’attuale aspetto del tempio.
Di certo sapere che ciò che vedete non è frutto della resistenza della costruzione allo scorrere del tempo, ma un intervento dell’uomo moderno, non diminuisce il fascino di quest’opera antica. Ma perché, vi chiederete, un edificio del genere fu costruito in una zona disabitata? E a chi era dedicato? Soddisferò queste vostre curiosità raccontandovi la storia di questo luogo nascosto così come è stata ricostruita dagli studiosi.
La zona in cui sorge il tempio era frequentata sin dall’epoca nuragica. Lo documenta la presenza di alcune tombe proprio vicino a dove in tempi più recenti sorse il tempio.
Il primo edificio sacro fu costruito intorno al settimo secolo a.C., per poi subire una ristrutturazione durante il terzo secolo a.C. In linea generale l’edificio aveva forma rettangolare e aveva subito l’aggiunta di un vano durante la ristrutturazione. Entrambe la fasi sono di epoca punica e il ritrovamento di numerosi ex voto ha permesso di stabilire che il tempio era dedicato a Sid, divinità fenicia della caccia, figlio di Melqart (il quale corrisponde al greco Eracle). In realtà il tempio che avete davanti ai vostri occhi non è quello di epoca punica. I Romani, come sempre, ci misero del loro.
L’imperatore Augusto, nel primo secolo a.C., si occupò della ricostruzione dell’edificio secondo i canoni romani, usando come base l’edificio precedente ed aggiungendo la scalinata ancora visibile. Il tempio risultava così diviso: il pronao, composto da quattro colonne centrali e due laterali; la cella, che oltre all’ingresso principale dal colonnato aveva anche due accessi laterali; l’adyton (il luogo che custodiva il simulacro della divinità), posto oltre la cella, sulla parete di fondo e diviso in due vani.
All’imperatore Caracalla, invece, nel terzo secolo d.C., si deve l’ultima ristrutturazione del tutto, con l’inserimento del temenos (in greco significa “muro”) esterno, ossia il recinto, che sembra essere stato edificato sopra macerie di epoca augustea, delle colonne e dell’iscrizione dedicatoria apposta sull’epistilio (la parte di edificio che poggia direttamente sulle sei colonne) che documenta sia il suo intervento sia la divinità cui l’edificio era dedicato. In epoca Romana, infatti non si parla più di Sid, ma del Sardus Pater Babi.
Il Sardus Pater Babi era la divinità locale alla quale Augusto volle restituire il culto toltole probabilmente quando gli invasori precedenti edificarono il loro tempio per Sid. Era insito nell’ideologia religiosa romana non distruggere i culti locali, ma rispettarli e favorirli, quando non entravano in aperto conflitto con il potere centrale.
Il termine Babi non è il nome della divinità, ma un appellativo, che accompagnava anche Sid, derivante probabilmente dalla lingua locale e che doveva indicare la massima divinità maschile. Purtroppo per il Sardus Pater, l’ultimo restauro dell’edificio ad opera di Caracalla non garantì una nuova vitalità del culto. Infatti le ultime testimonianze di frequentazione del sito risalgono al quarto secolo d.C. Ormai un nuovo Dio era sbarcato in Sardegna e la sua religione non ammetteva rivali.
(Foto del tempio di Bryulen in licenza Creative Commons; foto veduta laterale di Roby65)
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