28 Febbraio 2009

La città “operaia” dopo il soffio della bora

di Marcello Di Sarno (Blog Avellino. Interviste Giornalisti)

Il giornalismo declinato in tutte le sue accezioni e soprattutto unito a un profondo impegno civile.
Così si potrebbe riassumere la lunga e poliedrica attività di Salvatore Biazzo, che della sua Avellino ha scritto, in qualità di cronista e saggista, un pezzo importante del suo passato e oggi è in prima linea per provare a riscrivere un po’ del suo futuro. Dal giugno 2008 infatti è Assessore alla Cultura, Pubblica istruzione, Turismo, Informatizzazione e Comunicazione del Comune di Avellino.
Ma Salvatore Biazzo è noto al colto e all’inclita come “narratore” di gloriose gesta sportive, in particolare di quell’età dell’oro che visse la Napoli calcistica e non solo, grazie al grande campione Diego Armando Maradona. Un periodo che più o meno coincide con il suo ingresso in RAI - dal 1981 - dove, per otto anni, ha lavorato come inviato speciale in Italia e all’estero per le maggiori testate televisive e radiofoniche: da Tutto il Calcio Minuto per Minuto alla Domenica Sportiva, da Tg1 Speciale Mediterraneo a Grand Tour, da Tg2 Dossier a Bellitalia, passando per Novantesimo Minuto.
Oggi è Capo Redattore e Radio-Telecronista della Rai, Capo Redazione Sportiva e curatore della rubrica nazionale NeaPolis in onda su RaiTre, che ha fondato e realizzato insieme al collega Silvio Luise.
In passato ha lavorato per quotidiani, tra i quali il Roma, come redattore alla Provincia, e per il quotidiano sportivo torinese Tuttosport.
Completano il profilo un lungo impegno sindacale in organismi come l’Usigrai e l’INPGI e un’attività di docente di giornalismo che tutt’ora assolve in varie università, esperienza che ha riassunto in parte del volume “La lingua trasmessa” (Ferraro Editore, 2003).
Anche nella veste istituzionale non tradisce la sua adamantina indole di giornalista nel parlare del capoluogo irpino per Comuni-Italiani.it

Biazzo giornalista: era scritto nel destino o è un amore nato negli anni?
E’ dilemma antico se “giornalisti si nasce o si diventa”. Bisogna diventarlo, essendo nato con un’ambizione. Tutto è cominciato alla fine degli anni Sessanta: lavoravo ogni giorno e prendevo il corrispettivo di un pacchetto di sigarette. Ci sono comunque due episodi, per me molto significativi, che risalgono agli anni Cinquanta.
Un giorno ero dal barbiere, mi capitò di leggere - era la prima volta che leggevo un quotidiano - la ricostruzione della morte violenta del bandito Salvatore Giuliano: riflettendo e rileggendo, mi accorsi di errori logici e banali nella ricostruzione della sparatoria. Lo dissi ad alta voce, ma nessuno mi dette credito o attenzione. Pensai che io lo avrei scritto meglio quell’articolo.
Il secondo episodio poco tempo dopo: per caso trovai un settimanale, “Epoca”, e lessi un trafiletto brevissimo di un tizio che si firmava “Ricciardetto” (alias Augusto Guerriero, N.d.A.), ne rimasi folgorato. Oggi ne sto scrivendo la biografia.

Avellino l’ha tenuta a battesimo in questa sua avventura?
Ho cominciato alla Redazione Provinciale del Roma, a Piazza d’Armi, con Faustino Grimaldi, che mi insegnò tanto. Ma tra gli esempi più cari e importanti, pongo Antonio Nacchettino Aurigemma e Peppino Pisano, dei quali mi mancano gli articoli e le analisi.
Poi sono andato via, prima a via Marittima, sempre al Roma, dove conobbi grandissimi professionisti e il famoso comandante Achille Lauro, poi alla Rai, prima a Roma poi a Napoli, dove attualmente sono ancora capo redattore.

“La leggenda dell’Avellino” titola una felice collana di home video: cosa deve al calcio professionalmente?
Quella fu una bella iniziativa mia e di Giordano, proprietario dell’emittente televisiva ITV. Gli feci comprare i diritti dalla Rai e collaborai al progetto. Un’occasione di crescita editoriale per una piccola quanto importante emittente, per me un segnale d’affetto per una squadra che ho molto seguito per “90° Minuto”, per “Tutto il Calcio Minuto per Minuto” e la “Domenica Sportiva”.
Furono quei servizi a impormi all’attenzione di Tito Stagno, che mi volle poi tra le prime firme della trasmissione da lui diretta. Mi capitò di seguire il Parma, la Juve, il Milan, ma soprattutto il Napoli di Maradona, giocatore con il quale sono rimasto in contatto e che ho molto seguito.

Salvatore Biazzo

Appartiene alla dimensione calcistica il suo articolo più caro legato al capoluogo irpino?
Già! In trasferta con l’Avellino a Cagliari, ero con Peppino Pisano, lui lavorava per Il Mattino io per il Roma, insieme a Mimmo Porpiglia e a Vittorio Raio. Il mio caporedattore mi chiese un pezzo per la prima in cui si raccontasse il “miracolo” Avellino.
L’allenatore era Rino Marchesi, un mister “di sinistra”. Scrissi che l’Avellino era una “squadra operaia” e il miracolo stava tutto lì… il pezzo piacque molto e da allora più volte ho sentito ripetere o riscrivere “squadra operaia”.

Un’altra sua passione sportiva trova spazio nella sua terra: la bicicletta. Quali luoghi ama scoprire su “due ruote”?
Amo la scalata, per questo se sono in forma, Montevergine è la meta preferita. Tuttavia, il percorso classico è AvellinoBenevento, via Altavilla all’andata, via Tufo al ritorno: secondo la stagione si sente l’odore del vino o del mosto, oppure gli odori che ancora provengono dalle antiche miniere di zolfo. Come assessore, in collaborazione con un’associazione, stiamo lanciando un altro percorso: Avellino, Atripalda, Monteforte, Mercogliano, Avellino, un bel tragitto per riscoprire gli antichi confini di Abellinum.

Cosa l’ha spinta a fare il “salto della barricata” e come concilia le due diverse formae mentis del giornalista e del politico?
Non mi ritengo un politico, non sono cioè un militante che ad un certo punto assume una carica come proiezione naturale della sua carriera e vede quella come uno “step” per un passo successivo. Sono stato chiamato quale “tecnico”, sette mesi prima della scadenza del mandato elettorale. Nessuno avrebbe accettato una simile scommessa.
L’ho fatto, per la città. Senza altri fini e il successo delle iniziative conferma la mia intuizione più felice, che la città vuole rialzare la testa.
Il giornalista non prevale sul “politico”, casomai lo aiuta a imprimere i ritmi indispensabili, per fare in pochi mesi ciò che non si è riusciti a fare in anni.

Con la schiettezza del giornalista quali risultati pensa di aver raggiunto?
Ho dato risposta alle aspettative della gente, ho riportato la cultura – attraverso grandi Mostre – e ho rimesso in moto meccanismi importanti attraverso la promozione della Città di Avellino, che è riemersa finalmente per le sue iniziative culturali, fra vecchie polemiche del dopo sisma e i cumuli recenti di immondizia.
Appena qualche tempo fa, da un assessore alla provincia di una regione vicina mi sono stati richiesti i format organizzativi delle cose che ho fatto… Mica male, no?

Con le sue “mostre impossibili”, si può parlare di un salto di qualità nell’offerta culturale del territorio?
Certo, occorrevano grandi attrattori culturali a prezzi accettabili: le “Mostre impossibili“, Caravaggio prima, Leonardo dopo, per il loro altissimo valore didattico ed emotivo, si prestavano perfettamente al caso. Hanno fatto fare un salto enorme alla città, ne hanno incrementato l’offerta culturale e turistica, creando nel contempo sviluppo.
I grandi attrattori hanno richiamato gente anche per i piccoli attrattori, come la riscoperta di artisti dimenticati (Faustino De Fabrizio) o di artisti presenti sul territorio come Spinello, Vallifuoco - al quale ho commissionato anche il sipario storico del Teatro Gesualdo - Iaccheo, Marano, Rosapane, Mingarelli, Serio, l’architetto Russomanno, Antonello Matarazzo, i maestri presepisti, eccetera.

Perché, secondo l’assessore Biazzo, Avellino è città d’arte?
Su Avellino “Città d’Arte” ho fatto una relazione molto articolata, e devo dire molto apprezzata alla prima giornata della presentazione dei Progetti Pica alla Casina del principe, e che è la base della richiesta di progetto presentato poi all’Assessore Micera.
In ogni caso, sintetizzo in una frase: città d’arte non è soltanto la città che possiede “x” monumenti, ma quella che sa anche proporsi come centro di cultura. Come ho già ribadito nella suddetta relazione, “Città d’arte si nasce ma lo si può anche diventare se, sulla pretesa densità delle testimonianze storiche e artistiche, prevale la valenza culturale, quando essa però rappresenti il tratto imprescindibile, fortemente connotativo, identitario, della città“.
Di testimonianze Avellino ne conta numerose e di indubbio valore: dal Castello Longobardo, del IX secolo a Piazzetta Amendola - con l’obelisco seicentesco di Carlo II del Fanzago - dalla Casina del Principe appena ristrutturata alla Torre dell’Orologio del XVII secolo. Tanto per fare qualche nome.

Un appuntamento culturale di rilievo è il “Palio della botte”. Che valore ha per gli avellinesi?
E’ una competizione in voga fin dal 1500 tra le sette contrade del territorio, che si sfidano facendo rotolare le botti lungo Corso Umberto I. Il merito di averla rilanciata spetta a don Emilio, parroco della Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli.
Una cosa splendida che deve crescere come evento di grande richiamo. Per questo bisogna dare risorse e aiuto a don Emilio. Abbiamo un progetto in comune, speriamo vada in porto.

Avellino e la storia recente: che personale ricordo ha di quel 23 novembre 1980 e, guardando al suo volume “Ultime voci dall’epicentro”, che tracce di quella ferita riscontra nel presente?
“D’un trattò soffiò la bora…” Era questo l’incipit del libro da lei citato, che scrissi insieme a Mimmo Carratelli e Aldo De Francesco sulle vicende del terremoto. Quel libro lo ricordo a memoria, come del resto ricordo perfettamente quella sera.
Avevo appena finito di dettare un articolo per telefono (si faceva così, manco il fax c’era ancora!) ala redazione di Tuttosport di Torino sul match Avellino-Ascoli. La terra fu scossa ogni oltre misura, come mai prima a memoria umana. Fu come la bomba di Hiroshima, qualcuno scrisse affinché si capisse cos’era accaduto realmente… ma molti non capirono lo stesso. E fecero della ricostruzione strumento di arricchimento personale o di strumentalizzazione politica: oggi quando vedo che ancora mancano dei palazzi lungo il corso o in via Francesco Tedesco, rabbrividisco!

A giugno si vota. Se, ragionando per ipotesi, si trovasse a fare il Sindaco quali priorità affronterebbe?
Avellino è in grosso ritardo sul piano culturale, della modernizzazione, della qualità della vita, eccetera, ma ce la può fare e ce la fa solo se si comincia a lavorare per la città e non per se stessi.
Il rinnovamento, però, non è un dato anagrafico, sicché chi più giova lo rappresenta: è un dato culturale. E’ l’idea, la visione, il progetto e la capacità di realizzarlo il vero rinnovamento. Il resto sono esercizi dialettici che fanno fare bella figura all’oratore ma non portano da nessuna parte.

Da docente di giornalismo, fondatore della rubrica web Neapolis ed esponente sindacale, come vede il futuro della professione guardando in particolare al rapporto con internet e alle nuove forme di giornalismo partecipativo (blog, social network, etc.)?
Il futuro del giornalismo è denso di ombre maligne. La prima vera rivoluzione del giornalismo, la nascita stessa del giornalismo moderno, avvenne grazie all’invenzione della stampa con i caratteri mobili di Gutenberg. L’avvento della macchina e delle rotative ne accelerò la diffusione, il telefono accorciò i tempi di trasmissione di una notizia e lo stesso modo di fare il giornalismo.
Poi le tecnologie hanno creato il villaggio globale, nel quale la notizia non tarda venti giorni come nell’Ottocento ma arriva in tempo reale. Oggi la tecnologia non sta trasformando l’informazione, si sta invece sostituendo ad essa. Internet è il regno dei blog e dei giornali on line… sarà questo il futuro?
Sarà questo il solo giornalismo possibile? Non credo, ma certo cambieranno strumenti e modalità di racconto. Forse ha ragione Umberto Eco: alla fine ne resterà uno solo… il libro!

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