8 Aprile 2009

Dentro la romanità sulla 4ª corda di Bach

di Marcello Di Sarno (Blog Pompei. Interviste Giornalisti)

Sempre alla ricerca di qualcosa da spiegare e tramandare ai posteri. La vita di Alberto Angela fa subito venire alla mente quella di grandi nomi del passato come Richard Owen e Johann Winckelmann, ai quali si devono le scoperte dei fossili e delle rovine dell’antica Roma; una vita insomma di grandi scoperte da dissotterrare, da indagare e da ricostruire. Paragoni forse scomodi ma, senza dubbio, quelle scoperte lui sa come raccontarle e renderle “pane quotidiano” per chi spesso chiede al mezzo televisivo principalmente intrattenimento ed evasione.

Paleontologo, ricercatore, giornalista divulgativo - in passato ha collaborato con varie testate tra cui La Stampa, Airone ed Epoca - Alberto Angela ha dimostrato fin dai suoi esordi che non è soltanto un figlio d’arte, bensì un “crononauta” (viaggiatore nel tempo) d’eccezione, che sa prendere per mano qualsiasi mente e portarla oltre gli steccati insormontabili che separano ciò che è storia dalla contemporaneità.

Pompei è entrata nella sua vita prepotentemente e da subito si è presentata a lui come la via più diretta al cuore della romanità. Della città mariana si è occupato in TV nelle varie edizioni della storica trasmissione Superquark, di cui è co-autore, e in Passaggio a Nord Ovest, settimanale di viaggi, avventure ed esplorazioni da lui ideato e condotto. Da qui ha preso ispirazione per la sua ultima fatica letteraria “Una giornata nell’antica Roma. Vita quotidiana, segreti e curiosità”, edito nel 2007 da Mondadori.
Un rapporto quello con Pompei destinato a lunga vita e di cui offre un interessante spaccato nell’intervista rilasciata per Comuni-Italiani.it

Alberto Angela

Quando nasce questo legame così forte con la città?
E’ qui che è nata la mia passione per la storia di Roma, tanto che sono arrivato a scrivere un libro sulla vita a quei tempi. Il mio primo vero approccio è avvenuto, infatti, proprio a Pompei.
Inizialmente non ero appassionato di antichità romane; vivo a Roma e tutta la romanità che avevo attorno la vedevo soprattutto dal punto di vista turistico. La mia prima attività è stata quella di paleontologo, quindi mi occupavo di ben altro tipo di reperti.
Poi ho fatto un primo servizio su Pompei per Superquark e ne sono rimasto stregato. Una volta che vieni qua non puoi più fare a meno di ritornarvi e, ogni volta, scopro tante cose che la volta precedente non conoscevo.
Devo ammettere che ho avuto una guida d’eccezione, qual è il professor Antonio De Simone (docente di Archeologia all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, N.d.R.), che mi ha saputo raccontare ciò che c’è “al di là” di questi reperti.

Cos’ha trovato qui che l’ha conquistata?
E’ l’unico sito che io conosca che rappresenta un unicum a livello di patrimonio, un unicum a livello di archeologia, un unicum a livello culturale. Non esistono altri esempi al mondo come questo. Siti come quelli Maya dell’America centrale, i templi di Angkor in Cambogia, le rovine Inca di Matchu Pichu sono luoghi straordinari da cartolina, ma sono dei relitti, in parte depredati e in parte distrutti dagli agenti atmosferici e dalla vegetazione.
A Pompei, invece, c’è una città ferma, come congelata. Come ho detto agli amici pompeiani: “Voi non parlate dell’età romana, voi siete dentro l’età romana”. E’ qualcosa di straordinario. La gente viene da tutto il mondo perché sa che qui riesce a provare emozioni che nessun altro sito può dare. Questo è un dato di fatto!

Per fare un esempio, alla sua maniera…
Se paragoniamo un’altra grande città del passato a uno scheletro qui, invece, si dispone della foto della persona, dei filmati di questa in vita, perché quando si entra in una domus se ne può osservare la profondità, l’articolazione dei vari ambienti, raccogliendo automaticamente notizie che altri siti non forniscono. E’ un luogo che da solo permette di fare un viaggio unico al mondo.

Come riesce un giornalista divulgativo come lei a raccontare urbi et orbi, attraverso il mezzo televisivo, il patrimonio di Pompei?
Bisogna utilizzare un messaggio che sia filtrato attraverso due canali: la mente, cioè l’approccio razionale, e il cuore, per colpire l’emotività delle persone. Ciò per divulgare e far passare concetti difficili, a prescindere se sei un giornalista, un ricercatore o un divulgatore come il sottoscritto.
Io sono un ricercatore, per più di dieci anni ho fatto scavi, occupandomi di paleontologia umana. Per anni sono stato in Africa a “operare” con i cosiddetti strumenti da dentista.
Lì, facendo questa specie di lavoro scientifico, di “CSI del passato”, impari la filosofia della ricerca: devi portare delle prove, non bastano gli indizi, perché la scienza è un processo e l’archeologia è fatta di questi elementi.
Questo tipo di approccio analitico è il primo passo per raccontare Pompei, cercando di far passare sullo schermo le difficoltà iniziali di fronte alle quali si trova un ricercatore. Quindi mi rivolgo agli spettatori: “Guardate quest’oggetto: è stato trovato ma non sappiamo esattamente a cosa servisse”.
Di qui facciamo delle ipotesi sul suo utilizzo, perché è bene dimostrarsi cauti. E questo viene sempre capito dall’altra parte. Una cautela che fa parte del mio passato di ricercatore, grazie al quale comprendo il lavoro straordinario che hanno fatto tutti gli archeologi che si sono occupati di Pompei e degli altri siti romani limitrofi: da Villa Regina (Boscoreale) a Villa Stabia (Castellammare, passando per Oplonti (Torre Annunziata).

Entrando più nello specifico, come fa a rendere sempre attuale la storia di Pompei?
Credo che Pompei sia una “palestra straordinaria” per qualunque divulgatore. Innanzitutto perché è una città viva, non morta, e questo ti dà uno strumento di divulgazione straordinario. In sintesi: io non vi dirò niente di nuovo, io sfrutto quello che avete già in testa, perché quando voi pensate a Pompei, pensate a una città che ha oggi una sua quotidianità.
Io entro in una città vedo come vivevano le persone e incomincio a fare dei paralleli tra la vita quotidiana di allora e quella dei giorni nostri. E’ questo il segreto della divulgazione di Pompei, nessun altro. Bisogna sempre trovare degli spunti che creino un aggancio con l’oggi.
Un esempio banale: entro in una stanza e trovo uno specchio a forma di losanga, sopravvissuto all’eruzione. La cosa straordinaria però non è tanto il fatto che io posso ancora specchiarmici dentro, bensì il fatto che osservando l’altezza dello specchio, più vicino al pavimento, deduco che i romani erano più bassi di noi.
Un altro parallelismo, quello con lo schiavo portinaio: anche noi abbiamo i nostri schiavi, ossia la lavatrice, il forno, la lampadina etc… schiavi “elettrici” che ci fanno capire come la tecnologia ha contribuito ad eliminare la servitù.
E ancora, quello che oggi rappresenta la TV, un tempo era il poeta che veniva a declamare versi in onore del dominus.

Eppure, l’area archeologica di Pompei è al centro di forti polemiche sul precario stato di conservazione dei luoghi. Dov’è che secondo lei si è sbagliato?
Non sta a me dirlo. Diciamo che Pompei è un unicum, non esistono altri siti al mondo di questa vastità, di questa ricchezza, di quest’interesse. E quindi certamente è un patrimonio da salvare. I sistemi non li posso dire io perché faccio un altro mestiere. Io non sono un esperto.
In generale credo che tutti dobbiamo ritenerci eredi di questa cultura e quindi in grado di rappresentarla come fosse casa nostra, rifuggendo certi cliché che vengono applicati un po’ dovunque, nei film, nei documentari, dove appare un mondo fatto di gladiatori, di orge. In realtà non è così!

Non crede che ci sia il rischio di ridurla a una sorta di “disneyland” dell’archeologia?
Non credo che ci sia questo problema. Però voglio sottolineare una cosa che a me dà molto fastidio e che è riconducibile a un fenomeno turistico: la tendenza di osservare e fotografare i corpi carbonizzati conservati nelle bacheche di vetro come fossero delle semplici statue. Si tratta di persone nell’atto di morire e ci vuole molto rispetto; non è una cosa da circo. Le volte che ci capita di parlarne abbiamo quasi dell’imbarazzo: è una persona che in quel momento sta lasciando la vita.

(Foto di Luigi Donnarumma, per gentile concessione)

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4 commenti a “Dentro la romanità sulla 4ª corda di Bach”

  1. Sara Radicia scrive:

    Alberto Angela! bravissimo Marcello è uno dei miei idoli!!!

  2. Marcello Di Sarno scrive:

    Grazie mille, Sara!!!Anch’io lo apprezzo molto. :-)

  3. licinia scrive:

    Interessante intervista: speriamo venga letta da tanti… estimatori!

  4. Marcello Di Sarno scrive:

    Lo spero anch’io :-)

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