9 Settembre 2008

Il racconto in diretta di una lenta trasformazione

di Marcello Di Sarno (Blog Genova. Interviste Giornalisti)

Il giornalista di Genova Marco Fantasia* intervistato per Comuni-Italiani.it

Chi o cosa ha fatto scattare in lei la scintilla del giornalista?
Non c’è stato precisamente un “chi”. Fin da bambino sentivo di avere una certa propensione per il racconto in diretta; scherzando sul “cosa” si può dire che forse c’è stato un elemento genetico innato, anche se provengo da una famiglia che non aveva mai annoverato giornalisti prima.
Da piccolo non consideravo la possibilità di trasformare questa propensione in un sogno di lavoro futuro; come i miei coetanei sognavo di diventare un calciatore, più che un giornalista che del calciatore raccontasse le imprese. Eppure quando nel 1980, all’età di 15 anni, ho sentito l’annuncio di una radio privata (Radio Genova Reporter, oggi chiusa) che cercava personale per attività giornalistica, non ci ho pensato su un momento e mi sono presentato.
Marco FantasiaHo cominciato con brevi reportage dai campi dei tornei dilettantistici della periferia di Genova, pagati mille lire ciascuno. Quando sono stato inviato per la prima volta ad una partita della Sampdoria non stavo nella pelle, anche se all’epoca, ragazzino alle prime armi e sprovvisto di qualunque qualifica professionale, non potevo neanche avvicinarmi alla tribuna stampa dello stadio e la radiocronaca la facevo dai tetti dei palazzi che allora si affacciavano sul vecchio “Ferraris” pre-mondiali ’90.
Poi ci furono altre emittenti locali più grandi, fino a Radio Babboleo, la più ascoltata emittente genovese, dove sono diventato prima pubblicista e poi professionista. Lì ho avuto la possibilità di migliorarmi, come giornalista e soprattutto come radiocronista di eventi in diretta, attività che mi ha consentito di girare l’Europa al seguito di Sampdoria e Genoa, con eccellenti riscontri.
E’ con questo bagaglio che sono arrivato alla Rai, dove ho lavorato da precario per quasi dieci anni e dove ho affrontato la novità rappresentata dalle immagini televisive. Anche oggi che sono uno dei conduttori del Tg regionale della Liguria sogno di tornare alla radio e di riprendere a trasmettere radiocronache in diretta. Ecco, se vogliamo trovare una scintilla, è quella della voglia di raccontare l’evento che mi sta scorrendo sotto gli occhi, cercando di rendervi partecipe chi non può, per i motivi più disparati, assistervi.

Che ruolo ha avuto Genova nel suo percorso professionale?
Quasi tutto il mio percorso professionale si è svolto a Genova, la città in cui sono nato e nella quale vivo. Per alcuni anni, prima che i contratti Rai si facessero più frequenti, ho collaborato con Euronews, la televisione europea multilingue che trasmette da Lione.
Ho trascorso alcuni periodi in Francia, confrontandomi con un sistema di lavoro molto diverso da quello al quale siamo abituati. Si è trattato di un’esperienza professionale ed umana estremamente importante, che consiglio a tutti i giovani interessati ad intraprendere la carriera giornalistica e anche a coloro che l’hanno già iniziata.
Tornando a Genova, va detto che non è una città che offre molte opportunità nel campo dell’editoria, soprattutto se la paragoniamo a città come Milano o Roma. Dopo dieci anni a Radio Babboleo l’unico sbocco possibile per avanzare ancora professionalmente era la Rai, se non ci fossi riuscito sarei probabilmente rimasto confinato nell’ambiente chiuso dell’emittenza privata, come accade a tanti colleghi che pur avrebbero le qualità per ambire a ruoli più prestigiosi.
A Genova (come, credo, in molte altre città) servirebbero in questo campo progetti forti, che mettano la qualità dell’informazione davanti a tutto.
Naturalmente la Rai dovrebbe essere in prima fila nello sviluppo di questi progetti, senza aspettare che quote d’ascolto e credibilità siano rosicchiate dall’aggressività delle emittenti private. Sono convinto che il progetto Rai “Morning News”, che sta per partire, vada nella direzione giusta e la nostra redazione si sta preparando con professionalità per fornire un servizio all’altezza.

Attualità. Come vive il capoluogo ligure l’emergenza sicurezza che attraversa l’intero Paese?
Con prudenza da parte delle istituzioni. Per il momento il sindaco non ha chiesto l’invio in città di soldati e non sono state emanate le direttive bizzarre che si sono viste in altre città.
L’attenzione viene posta, al momento, su due problemi che riguardano soprattutto il centro storico: la prostituzione e la convivenza tra residenti e clienti dei locali notturni. Nel primo caso la giunta ha elaborato un piano che prevede lo sgombero dei “bassi”, i magazzini del centro storico che i proprietari (italiani) affittano alle prostitute per esercitare la loro attività. Questi locali, nei progetti del Comune, dovrebbero venire occupati in futuro da attività artigianali che riqualifichino la zona.
Il rumore e l’abbandono di bottiglie vuote sono invece nel mirino di altre ordinanze: da un lato si impone ai locali l’orario di chiusura notturno, dall’altro si fa divieto ai cittadini di fermarsi a bere dalle bottiglie di vetro, anche se portate da casa, entro un perimetro definito.
Non siamo comunque ai livelli di certe città che regolamentano la presenza delle persone sulle panchine dei parchi.

Lei che è un esperto di boxe, che legame trova tra Genova e la “noble art”?
La boxe è una vecchia passione, che mi sono trovato a rinverdire attraverso la mia attività di direttore responsabile del sito www.mondoboxe.com. In questo caso ho solo voluto aiutare un gruppo di veri esperti che avevano bisogno di un giornalista professionista per regolarizzare la registrazione della testata in tribunale. Il sito è diventato in pochi anni il punto di riferimento degli appassionati e degli addetti ai lavori. Genova ha sempre avuto una buona tradizione pugilistica: era genovese il primo campione italiano dei massimi, Pietro Boine (1910); era genovese d’adozione Bruno Arcari, campione mondiale ed imbattuto in carriera; a Genova lavorò come manager Rocco Agostino, che fece allenare qui molti grandi campioni.

Lo scoop o la notizia legata a Genova che ricorda con maggiore orgoglio o partecipazione emotiva.
Non mi emoziona il concetto di scoop, inteso come notizia ricavata e diffusa prima di altri. Mi dà più soddisfazione portare a conoscenza dell’opinione pubblica e degli organi competenti le problematiche delle persone, contribuendo a risolverle.
Nella maggior parte si tratta di piccole cose, quelle cose che però costituiscono il quotidiano della gente. E’ anche su queste cose che si gioca la nostra attendibilità nei confronti di chi ci legge o ci ascolta. Per non apparire anche noi “casta” dobbiamo cercare di non parlare da iniziati e per gli iniziati, di non sembrare interessati soltanto agli intrighi di palazzo.
Anche per questi motivi non mi sono mai soffermato a cullarmi su servizi meglio riusciti, li ho usati semplicemente come stimolo per svolgere al meglio il servizio successivo. Potessi tornare indietro nel tempo, invece, cercherei di raccontare meglio ciò che accadde durante il G8 di Genova del 2001, utilizzando quegli elementi emersi nei giorni e nelle settimane successive che non potevano essere colti in tutta la loro drammaticità in diretta, nel marasma di quei giorni.

Un titolo e trenta righe per raccontare cosa va e cosa non va della sua città.
“Genova, la lenta trasformazione”.
Una città storicamente industriale che ha cominciato a scoprirsi turistica negli anni ‘90. Il recupero del porto antico per l’expò colombiana del 1992, la costruzione Acquario di Genovadell’acquario (che si è subito collocato tra le attrazioni più visitate in Italia), la pedonalizzazione di strade splendide come via San Lorenzo o via Garibaldi, il recupero degli antichi palazzi signorili seicenteschi “dei Rolli”, recentemente dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco, hanno parzialmente cambiato la vocazione della città, che però non può ancora competere con le tradizionali città d’arte in termini di accoglienza.
E’ come se la storica ritrosia dei genovesi a scoprirsi e farsi scoprire stesse esercitando una resistenza, più o meno voluta e consapevole, al cambiamento, all’apertura all’esterno. D’altra parte, l’addio alla siderurgia e alle partecipazioni statali ha aperto un vuoto che non è ancora stato colmato completamente dall’hi-tech, il settore su cui la città punta maggiormente per la sua economia.
I risultati ottenuti fino ad ora sono buoni, seppure parziali: a Genova ha sede un’azienda, Esaote, leader nel mondo per le apparecchiature biomedicali e capofila di un progetto che presto trasformerà un piazzale destinato al deposito di container in un distretto di alta tecnologia, nel quale troveranno spazio numerose nuove aziende; l’Istituto Italiano di Tecnologia sviluppa progetti avveniristici con la collaborazione di esperti e studenti di tutto il mondo.
La giunta comunale in carica è riuscita a coinvolgere intellettuali genovesi di grande prestigio nel mondo, da Renzo Piano a Carlo Freccero, per realizzare progetti concreti e piani di comunicazione. A fronte di tutto ciò non si possono però nascondere i problemi legati ad un’integrazione non facile con le numerose comunità straniere, alle scarse opportunità di lavoro in molti settori, alla riqualificazione delle zone ex industriali e soprattutto ad un porto dalle grandi potenzialità ma ancora frenato da un’eccessiva conflittualità interna.

Tra tecnologia digitale e giornalismo partecipativo, come vede il domani della professione giornalistica?
Credo che l’aumento esponenziale di blog e siti internet abbia incrementato in maniera altrettanto importante la possibilità di reperire informazione, anche su argomenti di nicchia che non trovano spazio sui media tradizionali. E al tempo stesso è emersa la possibilità per chiunque di produrre informazione.
Una grande opportunità, che va però valutata tenendo conto anche del tanto “rumore” che ciò comporta; la grande diffusione, cioè, di informazione falsa o ingannevole. Oggi il giornalista cresciuto con un’impostazione tradizionale affronta il fenomeno-blog come se lo considerasse ancora qualcosa di estraneo. Non sempre la notizia ripresa da internet viene verificata, non sempre ne viene correttamente attribuita la proprietà citando la fonte. Dal canto loro alcuni bloggers esagerano la portata della popolarità donata loro dal nuovo mezzo, autoinvestendosi della missione di salvare l’umanità dalla deriva dell’informazione.
Questa situazione sta creando una spaccatura e una polarizzazione: i giornalisti “tradizionali” da una parte, i divulgatori via web dall’altra, con reciproche accuse di scarsa attendibilità. Probabilmente si tratta di problemi di crescita. I diversi mezzi a disposizione non potranno che integrarsi, uno non cancellerà l’altro, anche se è certo che saranno soprattutto i giornali a dover modificare il loro approccio alla notizia per evitare di apparire superati nel momento in cui vanno in edicola, quando la gente sa già cosa è successo da tv, radio e internet.
E’ pur vero, ancora, che la maggior parte delle persone che cerca informazione la cerca soprattutto dai media tradizionali. Il numero di coloro che navigano sui siti di informazione è ancora largamente inferiore a quello di chi si affida ai telegiornali.
E’ una questione di mentalità, certo, di confidenza con il mezzo; ci vorrà ancora almeno una generazione per cominciare a ribaltare le percentuali. Ma è anche questione di diffusione, di digital divide: la tv arriva dappertutto, la diffusione dei giornali è capillare, mentre molte zone del nostro paese non sono ancora raggiunte dalla banda larga, che permette connessioni internet sufficientemente veloci da permettere agli utenti di non restare ore davanti allo schermo in attesa di ricavare le informazioni che cercano.

…sul giornalismo partecipativo?
Sulla diffusione del giornalismo partecipativo sono molto scettico, se con questa definizione ci riferiamo ai tentativi di trasformare in reporter chiunque abbia in mano una telecamerina o un telefono cellulare in grado di realizzare filmati e fotografie.
Il cittadino, laddove è presente e documenta un evento che si svolge in assenza di telecamere, può certamente aggiungere valore, ma non possiamo aspettarci da lui una valutazione critica dei fatti, una corretta interpretazione degli stessi, frutto invece della preparazione teorico-pratica del buon giornalista.
La smania di protagonismo che ha colto molti, pronti a realizzare e filmare qualunque situazione pur di rivedersi su You Tube, deve necessariamente imporre un supplemento di prudenza a chi riceve questi contributi esterni e li mette poi a disposizione del grande pubblico televisivo. Ciò anche per evitare che il sensazionalismo prodotto dalla diffusione di gesta eclatanti e di cattivo esempio induca coloro che non navigano a considerare internet la discarica di tutto il male esistente.

*E’ giornalista conduttore della TGR Liguria e lavora alla RAI TV dal 1998. Dal 1996 al 2004 ha collaborato con Euronews, la televisione europea multilingue con sede a Lione. La sua carriera giornalistica è iniziata nel settore della radio, in particolare con l’emittente genovese Radio Babboleo dove è diventato prima pubblicista e poi professionista.

(Foto sull’Acquario di Marrabbio2 in Licenza GFDL)

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