Da visitare anche le grotte di Su Mannau: attrezzate per le visite guidate, particolari offrono un meraviglioso spettacolo per le loro concrezioni, i laghi pensili, i suggestivi giochi di luce, interessanti anche le cale, coste e spiagge tra le più conosciute. Da visitare anche il Mulino Zurru Licheri, la Chiesa di S. Antonio da Padova, le Sorgenti “Pubusinu”, il Villaggio minerario di Arenas, il Villaggio marino di Portixeddu.
l’antenata dell’amatriciana era la griscia da Grisciano vicino Amatrice o da gricia il venditore di pane romano, ed è ancora conosciuta come l’amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti, con l’uso del pomodoro alla fine del diciottesimo secolo nasce questa specialità che comunque lascia delle perplessità sia di origine che di varianti. L’indiscusso uso del guanciale, dal sapore diverso e particolare rispetto alla comune pancetta, non obbliga all’uso del pomodoro, come la cipolla non si usa ad Amatrice ma viene messa nel resto del Lazio, nonchè in origine come grasso di cottura è citato il solo guanciale mentre si aggiunge olio di oliva o talvolta strutto. Soffriggere il guanciale in olio di oliva con aglio è pratica comune, mentre si usa pecorino romano e non quello proveniente da Amatrice (Monti Sibillini e Monti della Laga) l’aggiunta di spezie come pepe o peperoncino dà ulteriori differenze. In conclusione io preferisco la semplicità dei gusti: pecorino, bucatini, pomodorini freschi, guanciale e null’altro… sciolgo il guanciale abbondante tagliato a dadini grossolani (perchè non si brucino o scompaiano) in cui aggiungo i pomodorini tagliati minimo a 4, faccio bollire i bucatini a metà cottura li verso nella salsa per completare la cottura, spolvero abbondantemente di pecorino (quello che riesco a trovare… purtroppo) e il piatto è pronto, semplice come semplice era colui che se ne nutriva, con le poche cose che possedeva… pomodorini, guanciale, bucatini fatti in casa, formaggio locale…
Santa Giusta nacque verso il117 dopo Cristo. La sua famiglia era di nobili origini ed abitava dove oggi sorge l’omonima Basilica. Verso i 12 anni si convertì al cristianesimo e fu battezzata. La madre contraria al cristianesimo la fece rinchiudere nelle cantine della loro casa, ora cripta della Basilica, senza acqua e cibo per farla desistere da quella scelta. Furono rinchiuse con lei anche Giustina ed Enedina sue ancelle anch’esse convertite. Un giovane nobile pretendente di nome Claudio, innamoratosi di Giusta, chiese di sposarla, ma lei avendo consacrato la sua vita a Dio si rifiutò. Il giovane non soddisfatto cercò di rapirla, ma colororo che dovevano attuare il piano si smarrirono a causa di una fitta nebbia improvvisa. Ritentò allora con le arti magiche di uno stregone, ma neanche questi riuscì nel tentativo. La madre vista la resistenza di Giusta, che non recedeva dalla sua scelta, la fece rinchiudere definitivamente. Giusta allora pregò Dio di farla morire e così fu. Giusta fu seppellita nei sotterranei della sua casa che ora corrispondono all’attuale cripta dove è conservata.
S. Giusta è la patrona del paese che da lei prende il nome come la Basilica e le festività in suo onore si svolgono il 13 e 14 Maggio.
La città di Othoca che significa città vecchia, non è il nome originale dato dai Fenici ma è la contrapposizione a Neapolis (città nuova) data dai Cartaginesi che fondarono questa ultima, quindi il termine cartaginese Othoca indica solo il vecchio insediamento di cui si ignora finora il vero toponimo.
Per comprendere la tradizione della Regata una piccola nota per comprendere cosa sia l’is Fassois: è il nome sardo di primitive imbarcazioni utilizzate come strumento di lavoro dalle popolazioni nuragiche, fenicie e romane sia per spostarsi sugli stagni che per pescare. Realizzate con fieno palustre, un’erba che è oggi oggetto di tutela, intrecciato in modo da rendere appuntita la prua, lungo circa 4 m. e largo 90 cm e profonda 30 cm. Con un lungo bastone puntato sul fondo dello stagno si imprimeva all’imbarcazione la spinta necessaria a scivolare nell’acqua come altre simili presenti in Perù, in Egitto e nel Golfo Persico.
Il costume olianese (Su hustumene), viene realizzato interamente a mano, è complicato nella realizzazione e per questo è prezioso e ha un certo valore a volte anche oltre i mille euro. Si indossa con i gioielli di Oliena e viene portato giornalmente ormai solo dalle donne più anziane del paese e talune volte è elegante e ricco d’oro specialmente nelle grandi occasioni e si porta come elemento tradizionale e di cultura nelle processioni e manifestazioni di folklore.
Di Oliena scriveva Grazia Deledda in Canne al vento:
…Il villaggio bianco sotto i monti azzurri e chiari come fatti di marmo e d’aria, ardeva come una cava di calce: ma ogni tanto una marea di vento lo rinfrescava e i noci e i peschi negli orti mormoravano tra il fruscìo dell’acqua e degli uccelli. Giacinto guardava le donne che andavano a messa, composte, rigide, coi visi quadrati, pallidi nella cornice dei capelli lucenti come raso nero, i malleoli nudi di cerbiatta, le belle scarpette fiorite: sedute sul pavimento della chiesa, coi corsetti rossi, quasi del tutto coperte dai fazzoletti ricamati, davano l’idea di un campo di fiori. E tutta la chiesa era piena di nastri e di idoli; santi piccoli e neri con gli occhi di perla, santi grossi e deformi, più mostri che idoli. …
Vero, otto comuni tra cui questo descritto che hanno il nome identico, penso ai disguidi di documenti, atti giudiziari, omonimie di cittadini residenti negli omonimi comuni… complicazioni inutili che potevano essere eliminate aggiungendo un appellativo storico, religioso, locale ad esempio: Samone Torinese o Samone Trentino, non è che ci voleva tanto…
Le località hanno omonimie e sono tante, qui invece si parla di due comuni con lo stesso nome, cosa che di norma non dovrebbe succedere perchè già con la ri-nascita dei comuni all’inizio del 1800 dopo l’era napoleonica, si aggiunsero degli appellativi al nome originario per evitare omonimie specialmente ai comuni con nomi di santi.
…ecco la mia descrizione numero 1000! Su un paese della mia Calabria che attraverso quando scendendo verso l’originaria Monasterace percorro lo stretto istmo (35 km) da Vibo Valentia a Catanzaro Lido, gustando la visione dei due mari. L’occasione per festeggiare il numero mille è l’occasione per salutare tutti voi che leggete, la Redazione e la cara Maria che ci sopporta… volevo dire “supporta”…ehehehehehehe …. un abbraccio da un girovago per amore
Logicamente la Patrona è sant’Eufemia di Calcedonia festeggiata il 16 settembre . Si ricorda in occasione del ferimento di Garibaldi una canzoncina che dice: ” Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i suoi soldà…
il borgo medievale si trova su un colle dominato dal castello Normanno-Svevo sul sito dove sorgeva l’antica Hipponion con 7 km di mura. L’altro castello di Bivona, abbandonato ora in fase di restauro, serviva a proteggere il porto antico. Numerosi i musei e i siti da visitare per i quali occorrono più giorni, tra gastronomia e religione una splendida occasione culturale
Non potevo non estendere il mio commento con i ricordi su questo paese nativo di mio nonno, di mio padre… e di tanti parenti. Da qui parte la mia storia familiare, qui vi ritorno per sentire quei profumi impressi nei ricordi, quell’imprinting iniziale che fà di ognuno un legame con il posto dove si nasce o dove c’è vita familiare. Vi torno ogni tanto per ricordare, per ripercorrere quei passi già fatti, per condividere momenti familiari. La villa sul mare, le ore di ozio all’ombra del gazebo, le ore di pasca con le lenze fuori in barca davanti casa…la spiaggia lunghissima, il sole che di mattina lo tieni di fronte a te sul mare e il pomeriggio invece è alle tue spalle, una abbronzatura completa!!! Il paese dove mio zio ha trascorso la seconda metà della sua vita come medico prima condotto e poi medico di famiglia. Il posto dove venivo con mio padre, mia madre le mie sorelle… ricordo l’estate e le feste, la Madonna portata per mare con le barche, le passegiate serali familiari con la speranza di un gelato, una granita …magari di incontrare quella ragazza che ti piaceva… i primi incontri adolescenziali… solo ricordi…pensieri…profumi svaniti…
Da visitare anche le grotte di Su Mannau: attrezzate per le visite guidate, particolari offrono un meraviglioso spettacolo per le loro concrezioni, i laghi pensili, i suggestivi giochi di luce, interessanti anche le cale, coste e spiagge tra le più conosciute. Da visitare anche il Mulino Zurru Licheri, la Chiesa di S. Antonio da Padova, le Sorgenti “Pubusinu”, il Villaggio minerario di Arenas, il Villaggio marino di Portixeddu.
precisamente …negli scavi di Velia ad Ascea Marina, proprio sotto la Torre di Velia…
…non dirlo a me che sono nato a 15 minuti da Palinuro… nostalgia perenne…
l’antenata dell’amatriciana era la griscia da Grisciano vicino Amatrice o da gricia il venditore di pane romano, ed è ancora conosciuta come l’amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti, con l’uso del pomodoro alla fine del diciottesimo secolo nasce questa specialità che comunque lascia delle perplessità sia di origine che di varianti. L’indiscusso uso del guanciale, dal sapore diverso e particolare rispetto alla comune pancetta, non obbliga all’uso del pomodoro, come la cipolla non si usa ad Amatrice ma viene messa nel resto del Lazio, nonchè in origine come grasso di cottura è citato il solo guanciale mentre si aggiunge olio di oliva o talvolta strutto. Soffriggere il guanciale in olio di oliva con aglio è pratica comune, mentre si usa pecorino romano e non quello proveniente da Amatrice (Monti Sibillini e Monti della Laga) l’aggiunta di spezie come pepe o peperoncino dà ulteriori differenze. In conclusione io preferisco la semplicità dei gusti: pecorino, bucatini, pomodorini freschi, guanciale e null’altro… sciolgo il guanciale abbondante tagliato a dadini grossolani (perchè non si brucino o scompaiano) in cui aggiungo i pomodorini tagliati minimo a 4, faccio bollire i bucatini a metà cottura li verso nella salsa per completare la cottura, spolvero abbondantemente di pecorino (quello che riesco a trovare… purtroppo) e il piatto è pronto, semplice come semplice era colui che se ne nutriva, con le poche cose che possedeva… pomodorini, guanciale, bucatini fatti in casa, formaggio locale…
Santa Giusta nacque verso il117 dopo Cristo. La sua famiglia era di nobili origini ed abitava dove oggi sorge l’omonima Basilica. Verso i 12 anni si convertì al cristianesimo e fu battezzata. La madre contraria al cristianesimo la fece rinchiudere nelle cantine della loro casa, ora cripta della Basilica, senza acqua e cibo per farla desistere da quella scelta. Furono rinchiuse con lei anche Giustina ed Enedina sue ancelle anch’esse convertite. Un giovane nobile pretendente di nome Claudio, innamoratosi di Giusta, chiese di sposarla, ma lei avendo consacrato la sua vita a Dio si rifiutò. Il giovane non soddisfatto cercò di rapirla, ma colororo che dovevano attuare il piano si smarrirono a causa di una fitta nebbia improvvisa. Ritentò allora con le arti magiche di uno stregone, ma neanche questi riuscì nel tentativo. La madre vista la resistenza di Giusta, che non recedeva dalla sua scelta, la fece rinchiudere definitivamente. Giusta allora pregò Dio di farla morire e così fu. Giusta fu seppellita nei sotterranei della sua casa che ora corrispondono all’attuale cripta dove è conservata.
S. Giusta è la patrona del paese che da lei prende il nome come la Basilica e le festività in suo onore si svolgono il 13 e 14 Maggio.
La città di Othoca che significa città vecchia, non è il nome originale dato dai Fenici ma è la contrapposizione a Neapolis (città nuova) data dai Cartaginesi che fondarono questa ultima, quindi il termine cartaginese Othoca indica solo il vecchio insediamento di cui si ignora finora il vero toponimo.
Per comprendere la tradizione della Regata una piccola nota per comprendere cosa sia l’is Fassois: è il nome sardo di primitive imbarcazioni utilizzate come strumento di lavoro dalle popolazioni nuragiche, fenicie e romane sia per spostarsi sugli stagni che per pescare. Realizzate con fieno palustre, un’erba che è oggi oggetto di tutela, intrecciato in modo da rendere appuntita la prua, lungo circa 4 m. e largo 90 cm e profonda 30 cm. Con un lungo bastone puntato sul fondo dello stagno si imprimeva all’imbarcazione la spinta necessaria a scivolare nell’acqua come altre simili presenti in Perù, in Egitto e nel Golfo Persico.
Il costume olianese (Su hustumene), viene realizzato interamente a mano, è complicato nella realizzazione e per questo è prezioso e ha un certo valore a volte anche oltre i mille euro. Si indossa con i gioielli di Oliena e viene portato giornalmente ormai solo dalle donne più anziane del paese e talune volte è elegante e ricco d’oro specialmente nelle grandi occasioni e si porta come elemento tradizionale e di cultura nelle processioni e manifestazioni di folklore.
Di Oliena scriveva Grazia Deledda in Canne al vento:
…Il villaggio bianco sotto i monti azzurri e chiari come fatti di marmo e d’aria, ardeva come una cava di calce: ma ogni tanto una marea di vento lo rinfrescava e i noci e i peschi negli orti mormoravano tra il fruscìo dell’acqua e degli uccelli. Giacinto guardava le donne che andavano a messa, composte, rigide, coi visi quadrati, pallidi nella cornice dei capelli lucenti come raso nero, i malleoli nudi di cerbiatta, le belle scarpette fiorite: sedute sul pavimento della chiesa, coi corsetti rossi, quasi del tutto coperte dai fazzoletti ricamati, davano l’idea di un campo di fiori. E tutta la chiesa era piena di nastri e di idoli; santi piccoli e neri con gli occhi di perla, santi grossi e deformi, più mostri che idoli. …
…insieme al Mirto…
perfettamente, alcuni comuni ormai non esistono più e bisogna modificare la lista, tutti quelli specialmente della valle di Ledro
Vero, otto comuni tra cui questo descritto che hanno il nome identico, penso ai disguidi di documenti, atti giudiziari, omonimie di cittadini residenti negli omonimi comuni… complicazioni inutili che potevano essere eliminate aggiungendo un appellativo storico, religioso, locale ad esempio: Samone Torinese o Samone Trentino, non è che ci voleva tanto…
Le località hanno omonimie e sono tante, qui invece si parla di due comuni con lo stesso nome, cosa che di norma non dovrebbe succedere perchè già con la ri-nascita dei comuni all’inizio del 1800 dopo l’era napoleonica, si aggiunsero degli appellativi al nome originario per evitare omonimie specialmente ai comuni con nomi di santi.
Maria se puoi correggere il nome del comune descritto è “Mangone” prov. di Cosenza, e non Maropati, grazie
…ecco la mia descrizione numero 1000! Su un paese della mia Calabria che attraverso quando scendendo verso l’originaria Monasterace percorro lo stretto istmo (35 km) da Vibo Valentia a Catanzaro Lido, gustando la visione dei due mari. L’occasione per festeggiare il numero mille è l’occasione per salutare tutti voi che leggete, la Redazione e la cara Maria che ci sopporta… volevo dire “supporta”…ehehehehehehe …. un abbraccio da un girovago per amore
vero…. il massimo era: Gurubuldu fu furutu, fu furutu u unu gumbu, Gurubuldu chu cumundu chu cumundu u suu suldù
bhè… versioni simili ed è una questione di metrica… quel “battaglion”… non suona poi tanto musicalmente…. eheheheheh
Logicamente la Patrona è sant’Eufemia di Calcedonia festeggiata il 16 settembre . Si ricorda in occasione del ferimento di Garibaldi una canzoncina che dice: ” Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i suoi soldà…
il borgo medievale si trova su un colle dominato dal castello Normanno-Svevo sul sito dove sorgeva l’antica Hipponion con 7 km di mura. L’altro castello di Bivona, abbandonato ora in fase di restauro, serviva a proteggere il porto antico. Numerosi i musei e i siti da visitare per i quali occorrono più giorni, tra gastronomia e religione una splendida occasione culturale
Non potevo non estendere il mio commento con i ricordi su questo paese nativo di mio nonno, di mio padre… e di tanti parenti. Da qui parte la mia storia familiare, qui vi ritorno per sentire quei profumi impressi nei ricordi, quell’imprinting iniziale che fà di ognuno un legame con il posto dove si nasce o dove c’è vita familiare. Vi torno ogni tanto per ricordare, per ripercorrere quei passi già fatti, per condividere momenti familiari. La villa sul mare, le ore di ozio all’ombra del gazebo, le ore di pasca con le lenze fuori in barca davanti casa…la spiaggia lunghissima, il sole che di mattina lo tieni di fronte a te sul mare e il pomeriggio invece è alle tue spalle, una abbronzatura completa!!! Il paese dove mio zio ha trascorso la seconda metà della sua vita come medico prima condotto e poi medico di famiglia. Il posto dove venivo con mio padre, mia madre le mie sorelle… ricordo l’estate e le feste, la Madonna portata per mare con le barche, le passegiate serali familiari con la speranza di un gelato, una granita …magari di incontrare quella ragazza che ti piaceva… i primi incontri adolescenziali… solo ricordi…pensieri…profumi svaniti…